Selezione, formazione, smart working. Un'indagine di LIUC Business School mette in evidenza le tendenze HR dopo l’esperienza di lavoro da remoto durante il Lockdown, che per molti sta continuando, con i punti di non ritorno e le criticità. La ricerca è stata sviluppata nell’ambito del master universitario in Human Resources Management & Organizational Learning (HUREMOL), su un campione di oltre 200 aziende dai 50 milioni di euro di fatturato in su.
Un tema rilevante anche per il mondo HR: come cambierà il mondo del lavoro dopo questi mesi di lockdown con il lavoro forzato da casa, reso possibile da una massiccia, ma anche improvvisa, digitalizzazione dei sistemi aziendali. Il mondo HR guarda soprattutto ai suoi ambiti d’intervento: selezione, valutazione delle performance, formazione e modalità di lavoro.
Quello che emerge dalla ricerca di LIUC Business School, a cura degli studenti del master in risorse umane, è che nulla sarà più come prima, ma ogni aspetto va affrontato e ripensato con criterio e consapevolezza.
«L’emergenza sanitaria legata al Covid-19 ha avuto un forte impatto sulle normali prassi lavorative, accelerando o estendendo la transizione verso l’ampio ricorso alle tecnologie digitali. Ovviamente questo processo ha coinvolto anche il mondo legato alle funzioni HR. Ci interessava indagarne le ricadute reali lungo alcuni versanti sensibili come quello della valutazione del personale, della selezione e della formazione. È emerso uno spaccato interessante che evidenzia dei punti di non ritorno e delle criticità che attestano nuovi bisogni formativi», commenta Davide Tarlazzi, affiliate faculty e coordinatore del master in risorse umane HUREMOL.
Il questionario è stato rivolto agli HR manager di circa 800 aziende, per il 66% lombarde, sia pmi che medio-grandi, per oltre la metà con un fatturato superiore a 50 milioni di euro all’anno. Le risposte sono state date in pieno Lockdown, tra il 22 aprile e il 10 maggio 2020, a seguito di contatti personali degli studenti o della direzione del Master: 233 le risposte raccolte.
«È una percentuale di risposta molto confortante rispetto all’interesse dei direttori delle risorse umane su come stanno cambiando i loro sistemi operativi (formazione, selezione, valutazione e modelli organizzativi) e il loro stesso ruolo in azienda, quello di Innovation business partner, come suggerisco da anni. Gli intervistati erano infatti molto curiosi di sapere che trend sarebbero emersi dalla nostra indagine», aggiunge Daniela Mazzara, direttore del master in risorse umane HUREMOL di LIUC Business School. Forse per trovare conferme alla loro esperienza, ma anche per prepararsi al cambiamento in corso.
Smart working: i pro e contro durante il Lockdown
Durante l’emergenza ha utilizzato il lavoro in remoto la quasi totalità delle aziende (97%), di cui oltre la metà già prima del Covid-19 (53%). Rispetto all’esperienza vissuta, nel complesso il giudizio è positivo: molto soddisfatti il 37% e soddisfatti il 44%. Per l’11% è uno strumento con delle potenzialità.
Le principali criticità sono state individuate nella gestione del carico di lavoro e nel trovare un corretto equilibrio tra vita privata e vita lavorativa. Tra le potenzialità, sono state indicati l’ottimizzazione dei tempi rispetto agli spostamenti con conseguente riduzione dei costi (60%), l’aumento della produttività (58%) e il miglioramento del work-life balance.
In termini di potenzialità future, una volta passata l’emergenza e con una migliore organizzazione (45%), si suppone lo sviluppo di un maggiore engagement e di un maggiore senso di responsabilità individuale (60%). A emergenza terminata, infatti, uno su due gli HR ritengono che lo smart working resterà un perno della vita aziendale e per il 22% sarà comunque utilizzato, anche se non strettamente necessario.
Formazione sempre più blended
Dalla ricerca emerge un forte interesse per una formazione sempre più blended, in cui si mixano momenti in presenza e a distanza, che permettono una personalizzazione delle esperienze. Per oltre la metà (56%) degli HR manager la formazione in presenza sarà sempre più spesso evitata, se non per temi strettamente comportamentali, come le soft skill e il problem solving.
«I vantaggi dell’e-learning, soprattutto per chi lavora, riguardano i tempi e i costi, ma nel trasferire i nostri corsi dall’aula alla piattaforma abbiamo visto subito che le dinamiche sono diverse e richiedono una didattica diversa, oltre che competenze in campo digitale per gestire efficacemente lo strumento e riuscire ad attivare e coinvolgere anche a distanza i partecipanti al corso», racconta Mazzara.
Ciò che non sarà mai sostituibile, precisa il direttore, è quella energia, quel coinvolgimento, quella dimensione sociale e relazionale che si attivano in un’aula in presenza. «Bisogna capire che sono due tipi diversi di comunicazione, che agiscono in modo specifico sui tempi e le modalità di apprendimento. Il tempo individuale, in remoto, è ideale per l’acquisizione di nozioni tecniche, norme e concetti. Il momento dell’aula è l’occasione di confronto, messa in pratica e verifica dei concetti, anche attraverso casi di studio e problem solving», commenta Mazzara.
L’aula potrebbe essere sempre più deputata a diventare il momento della traduzione del sapere in competenze spendibili in azienda. Ma non si può escludere che si cercherà di portare sulle piattaforme anche la fase di problem solving e lavoro di gruppo. «In tal caso servono docenti molto preparati sulla gestione della virtual classroom, visto che questa non replica esattamente l’aula fisica e il rischio di distrazione e disinteresse è molto alto dopo i primi minuti. Servirebbe inoltre potenziare, come già stiamo facendo, i lavori a casa da far svolgere comunque in gruppo e in forma allettante, in modo da allenare i discenti a una sorta di socialità in remoto, che è una componente dell’apprendimento», commenta il direttore.
I risultati dell’indagine di LIUC sono in linea con quelli di un recente sondaggio di ASFOR, l’Associazione nazionale per la formazione manageriale: ben il 76,8% degli HR riconosce l’importanza di integrare formazione a distanza e in presenza, dopo l’esperienza Covid-19; il 56% sottolinea l’importanza di avere strumenti e luoghi adeguati per l’elearning e il 39% ne apprezza il fatto che permetta l’accesso a risorse altrimenti non disponibili. «È innegabile che noi stessi come faculty nella versione on-line riusciamo ad avere l’intervento di figure autorevoli da tutto il mondo, partecipazioni che in presenza richiederebbero tempi organizzativi e costi logistici ben diversi», riconosce la Mazzara.
Tuttavia, per oltre un terzo dal sondaggio Asfor la formazione in presenza sarebbe più efficiente perché favorisce lo scambio tra le persone (38,4%), mentre un altro terzo evidenzia l’aspetto di personalizzazione e “self directed education” della formazione a distanza, superando la dimensione top-down. «Certamente, ma bisogna distinguere i contenuti della formazione. Per alcuni, e soprattutto per figure executive, resta ancora più efficace la modalità di confronto di persona. Pensi che con un’aula di professionisti l’80% dell’erogazione è svolto dai partecipanti stessi, di cui noi formatori diventiamo dei facilitatori», spiega Mazzara.
Selezione e valutazione delle performance
Il 59% degli intervistati dagli studenti di LIUC è convinto che in futuro si preferiranno colloqui in video. Tra gli elementi critici, si segnalano la mancanza di empatia e l’impossibilità di valutare la comunicazione non verbale e para-verbale del candidato (o del collaboratore). Tra i vantaggi, la maggiore rapidità, riduzione dei costi e oggettività.
«Selezioni in video vanno bene nelle prime fasi del processo, ma poi è necessario l’incontro. Così pure nei colloqui tra capo e collaboratore, sono molto scettica sulla introduzione di feedback continui con sistemi digitali, che rischiano di generare incomprensione per l’uso non sempre appropriato delle parole. Ci siamo inventati gli emoticon per mitigare i rischi, ma la mancanza del tono con cui vengono dette di persona le cose e la gestualità rischiano di creare danni nella relazione capo-collaboratore. Il feedback è un fenomeno naturale nella comunicazione umana tra emittente e ricevente, il quale restituisce feedback (reazione) all’emittente. Non si può mediare troppo con strumenti digitali», precisa Mazzara.
Essere HR nell’era digitale post-Covid
Fatta salva un’attenta valutazione su come usare e contestualizzare gli strumenti digitali nella gestione delle risorse umane, il direttore HR per questo mondo che cambia in modo così veloce e imprevedibile, avrà come Innovation business partner tre funzioni principali: attivatore della digitalizzazione, agente di cambiamento e con ruolo politico in azienda.
«Il direttore delle risorse umane sarà un attivatore della digitalizzazione, in grado di rivedere i processi di organizzazione del lavoro e gestionali con una forte spinta verso l’informatizzazione dei processi stessi e delle attività. Sarà un agente di cambiamento che aiuterà l’azienda a riconoscere il nuovo contesto in cui si muove, promuovendo modalità di lavoro agili che permettano di adattarsi e cavalcare il cambiamento con successo. Infine, avrà un ruolo politico cruciale in azienda come l’interlocutore con la missione di generare il consenso necessario per favorire un clima di fiducia, favorevole alle attività e agli obiettivi aziendali», conclude Mazzara.