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Industria 4.0: a che punto sono le aziende italiane?

LIUC Business School presenta un'indagine quali-quantitativa su aziende che, nel 2020, hanno investito in nuove tecnologie, sfruttando gli incentivi fiscali, con attestazione di conformità Industria 4.0 rilasciata da ICIM Group.

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Gaia Fiertler

Tre aziende su quattro nel 2020 hanno investito in nuovi impianti Industria 4.0 perché spinte dallo sgravio fiscale. E lo hanno fatto senza avere coscienza del potenziale implicito nell’Industria 4.0.

Con il modello del caso studio quali-quantitativo, LIUC Business School restituisce al mercato alcune evidenze sull’approccio delle aziende italiane, sia grandi sia pmi, alla transizione digitale e green. L’indagine si è svolta in collaborazione con ICIM SpA di ICIM Group. La società, a maggioranza Anima Confindustria, fornisce servizi di formazione, consulenza, testing e, appunto, certificazione.

L’indagine quantitativa ha analizzato le schede tecniche di 123 aziende del Nord Italia che nel 2020 hanno investito in nuovi macchinari secondo il Piano di transizione 4.0. Per il 55% sono pmi e per il 45% grandi imprese. Le aziende sono soprattutto manifatturiere (86,18%), quindi commercio all’ingrosso e al dettaglio (7,32%). A seguire, sanità e assistenza sociale e costruzioni. Il campione è equamente distribuito per dimensione aziendale e per investimento medio (circa 387mila euro le pmi, contro 386mila euro le grandi imprese). 

La leva economico-finanziaria nei contesti Industria 4.0

La maggior parte delle imprese (75%) nel 2020 ha avuto l’occasione di svecchiare il proprio parco macchine, grazie agli incentivi fiscali. Solo il 25% lo aveva fatto con una maggiore consapevolezza e intenzionalità rispetto ai vantaggi esponenziali del paradigma Industria 4.0, applicato ai dati delle macchine.

Di fatto, la maggior parte degli investimenti si era focalizzato sull’Allegato A del Piano di Transizione 4.0. Riguarda macchinari e hardware informatici (con software inclusi nella macchina connettibile in rete, come sensori e data analytics e big data). L’Allegato B, riferito a software evoluti per trarre il massimo valore dai dati, come sistemi di simulazione (Digital twin), AI e Machine Learning, invece era stato pressoché ignorato.

Inoltre, nel 2020, solo il 10% dichiarava di associare l’acquisto del bene strumentale a fini di qualità e sostenibilità. Il 90% dichiarava più genericamente l’acquisto di beni strumentali gestiti da sistemi computerizzati.

«Nei prossimi anni la sfida della digitalizzazione si incrocerà con quella della sostenibilità. La cosiddetta “Twin Transition” (digitale e green, ndr) che l’Europa ci chiede per rispondere a criteri di competitività che non compromettano l’impegno per combattere il cambiamento climatico», raccomanda Paolo Gianoglio. Gianoglio è Direttore Innovazione, Sviluppo e Relazioni Associative di ICIM Group, responsabile del Progetto Industria 4.0.

Dati sfruttati solo in parte

Violetta Giada Cannas

Quello che è emerso dalla parte qualitativa dell’indagine, una dozzina di interviste a imprenditori e manager due anni dopo l’implementazione delle nuove macchine, risulta allineato all’approccio iniziale. Le aziende sono soddisfatte, riconoscono gli effetti positivi delle nuove macchine su produttività, monitoraggio e controllo continuo, ma ignorano il senso più dirompente dell’Industria 4.0.

«La generale mancanza di cultura e comprensione delle reali opportunità dell’Industria 4.0, non colmata dalla diffusione di nuove competenze in azienda, ne ha impedito finora lo sviluppo del pieno potenziale», commenta Violetta Giada Cannas, ricercatrice di LIUC.

Viene infatti ampiamente riconosciuto il beneficio di avere a disposizione dati oggettivi sul funzionamento della/delle macchine, raccolti e visualizzabili in tempo reale su dashboard a supporto del processo decisionale. Migliora anche il livello di integrazione con i fornitori e, più in generale, con tutti gli attori della Supply Chain.

Manca ancora consapevolezza sui vantaggi dell'Advanced Analytics e della cybersecurity

Tuttavia, manca la consapevolezza di quel passaggio ulteriore che è reso possibile da un’analisi più evoluta dei dati. Per esempio, grazie a sistemi di simulazione come i Digital Twin che permetterebbero delle “prescrizioni” per ottimizzare dei processi, o interventi “predittivi” per evitare guasti. Invece, c’è ancora uno scarso utilizzo della quantità di dati generati dai sensori intelligenti che sono contenuti nei nuovi impianti produttivi (analytics e big data). A questo va aggiunta una scarsa consapevolezza dell’urgenza di investire in cybersecurity.

«Questi dati sono oro puro, che spesso resta imprigionato nella macchina, anziché essere valorizzato da software evoluti. Grazie ad AI e Machine Learning, infatti, si possono creare dei cluster di comportamento, come nel “demand planning” e nel “forecasting” già più diffusi nelle vendite e nel marketing. In questo modo, anche in produzione si potrebbe intervenire per esempio sulla riduzione degli scarti, individuando anomalie ricorrenti e intervenendo sui processi.

Si potrebbero anche ridurre ed evitare i guasti. Basterebbe seguire il grado di usura dei tool meccanici e intervenendo per tempo, grazie a logiche di manutenzione predittiva. In questo modo i fermi macchina si ridurrebbero a semplici sostituzioni programmate. Non sarebbero causati da guasti di cui ricercare la causa, ordinare i pezzi e attenderne l’arrivo», spiega la ricercatrice.

Eppure questo uso avanzato dei dati, che è il vero valore aggiunto dell’Industria 4.0, è ancora poco sfruttato, sia nelle pmi sia nelle grandi aziende. A questo dovrebbero aggiungersi investimenti adeguati in cybersecurity, ancora carenti, per proteggere dati sensibili gestiti in rete e in Cloud.

Le principali resistenze all’Industria 4.0

L’Industria 4.0 ha una complessità notevole da gestire, che richiede competenze trasversali che combinino tra loro informatica, digitale e processi produttivi. Tra le principali barriere all’innovazione, infatti, ci sono scarse competenze 4.0 all’interno delle organizzazioni (67%), la cui mancanza non incoraggia un’adeguata comprensione del concetto stesso di Industria 4.0.

Inoltre, ci sono una persistente resistenza culturale al cambiamento (75%), la difficoltà a inserire nuovi sistemi all’interno di cicli produttivi preesistenti (83%) e la difficoltà a trovare partner validi per lo sviluppo della progettualità (57%).

«Spesso le aziende ci dicono di far fatica a trovare partner che le accompagnino progettualmente e operativamente nel processo di trasformazione digitale. Le ragioni possono essere molteplici, ma il tema delle competenze è generalmente critico. Credo si debbano costruire team multidisciplinari per accelerare la trasformazione digitale delle fabbriche», conclude Cannas.

Industria 4.0: a che punto sono le aziende italiane? - Ultima modifica: 2023-12-22T12:18:06+01:00 da Gaia Fiertler