Torniamo a parlare di Transizione 5.0, nell’attesa della pubblicazione del Decreto attuativo, inizialmente previsto per metà luglio. Dopo mesi di parole, abbiamo ben chiaro un concetto. Gli incentivi previsti dal Piano Transizione 5.0 sono destinati agli investimenti che riguardano i cosiddetti beni trainanti. Ovvero i Beni Strumentali 4.0 in grado di favorire significativamente i consumi energetici, in linea con i limiti imposti dal DL PNRR quater.
A conti fatti, gli aiuti più intensi derivano dagli investimenti in beni trainati, agevolabili qualora concorrano all’ottenimento di un risparmio energetico, attraverso gli investimenti in tecnologie 4.0. Utilizzabili negli impianti di autoproduzione di energia da fonti rinnovabili di tipo fotovoltaico. Ma non solo, secondo le ultime novità.
Che differenza c'è tra beni trainanti e beni trainati?
I trainanti sono beni materiali e immateriali 4.0, mentre i trainati corrispondono a spese di formazione
e beni per l'autoproduzione di energia da fonti rinnovabili per l’autoconsumo.
Chiaramente, non tutti possono o vogliono procedere in tal senso. Ma, qualora fosse possibile, il credito di imposta previsto dal Piano Transizione 5.0 apparirebbe come un’opportunità davvero interessante per le aziende. Non solo per perseguire i fini ambientali, ma in considerazione del rapido rientro nelle spese dell’investimento.
Gli investimenti energetici nel Piano Transizione 5.0
Analizziamo, ancora, l’articolo 38 del DL PNRR quater, e più precisamente il comma 5. Nell’ambito dei progetti di innovazione che conseguono una riduzione dei consumi energetici, la norma prevede l’agevolazione per gli investimenti in beni materiali nuovi, strumentali all’esercizio d’impresa. A condizione che siano finalizzati all’autoproduzione di energia da fonti rinnovabili destinata all’autoconsumo, con esclusione di biomasse e impianti per lo stoccaggio.
Nel caso dell’autoproduzione e dell’autoconsumo di energia da fonte solare, il Piano Transizione 5.0 agevola quindi gli investimenti in impianti con moduli fotovoltaici. Attenzione, perché si parla di moduli e non di impianti tout court. E c’è un diretto rimando a quanto stabilito dal DL 181/2023. La norma del più noto “Decreto Energia” stabilisce, infatti, l’istituzione di un Registro degli impianti fotovoltaici, tenuto da ENEA.
La scelta ha l’obiettivo di facilitare lo sviluppo di una filiera nazionale nella tecnologia green, per una più completa mappatura dei prodotti europei di qualità, in favore di imprese e utenti finali. Il Registro dovrebbe contenere tre differenti sezioni, in base alla classificazione degli impianti fotovoltaici. Da qui, la definizione delle tre tipologie di prodotti, improrogabilmente Made in Europe.
I primi moduli dovranno essere prodotti negli Stati membri dell’Unione, con un’efficienza a livello di modulo almeno pari al 21,5%. Ci sono poi quelli che prevedono celle con una efficienza energetica almeno pari al 23,5%, sempre Made in Europe. Infine, i moduli prodotti negli Stati membri dell’Unione, composti da celle bifacciali ad eterogiunzione di silicio o tandem (di produzione europea) con un’efficienza di cella almeno pari al 24%. Restano fuori dall’agevolazione gli impianti realizzati con pannelli prodotti in Paesi non UE e quelli che non abbiano le caratteristiche minime (lettera a, articolo 12: efficienza del 21,5%).
Transizione 5.0: il rientro dei costi di investimento
Tornando al Piano Transizione 5.0, quindi, il comma 5 dell’articolo 38 stabilisce che gli investimenti in impianti con celle di efficienza pari almeno al 23,5% o al 24 (se bifacciali), concorrono a formare la base di calcolo del credito di imposta, per un importo pari, rispettivamente, al 120 e al 140% del loro costo. Tuttavia, al momento non esiste ancora questo famoso Registro che l’ENEA.
Nelle more della “istituzione” sono agevolabili gli impianti con moduli fotovoltaici che rispettino i requisiti di carattere tecnico e territoriale del Decreto Energia (articolo 12), sulla base di una apposita attestazione rilasciata dal produttore. In attesa del Decreto attuativo del MIMIT, che potrebbe introdurre un tetto massimo alla rendicontazione, funzionalmente alla potenza di picco degli impianti, possiamo comunque affermare che è evidente la convenienza dell’incentivo.
Se da un lato il prodotto Made in Europe appare non concorrenziale rispetto all’omonimo cinese, già utilizzato negli anni passati, grazie al nuovo sistema di incentivi l’impresa potrà rientrare nell’investimento molto più velocemente. Secondo le stime si potrebbe assistere al dimezzamento (e più) del cosiddetto “tempo di ritorno”.
La localizzazione degli investimenti, nella bozza del Decreto attuativo di giugno
Il Decreto attuativo di prossima pubblicazione, poi, dovrebbe chiarire anche un altro aspetto. Nella bozza del Decreto attutivo circolata a giugno l’articolo 7 faceva riferimento alle spese per gli investimenti localizzati sulle medesime particelle catastali su cui insiste la struttura produttiva.
Ma anche ad investimenti localizzati su particelle catastali differenti, qualora connesse alla rete elettrica per il tramite di punti di prelievo (POD) esistenti e riconducibili alla medesima struttura produttiva. La norma prevedeva una producibilità massima attesa, al netto dei consumi dei servizi ausiliari, non eccedente il 5% del fabbisogno energetico della struttura produttiva. Questo perché si tratta di autoconsumo.
Era inoltre previsto anche un limite alle spese degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili. E un limite alle spese per l’acquisto e l’installazione di sistemi di accumulo di energia elettrica prodotta. L’agevolazione è ammessa fino ad un importo massimo complessivo pari a 900 €/kWh. Il tutto, solo qualora i moduli risultino “allacciati alla rete dei produttori di energia entro un anno dalla data di completamento del progetto di innovazione”.
Transizione 5.0 e impianti di produzione energia: quali novità nella versione definitiva del Decreto attuativo?
Nella bozza, prima della concertazione ministeriale, le spese agevolabili erano di quattro tipi. Nella versione definitiva, invece, diventerebbero cinque, ovvero relative a:
a. i gruppi di generazione dell’energia elettrica;
b. (già c, nella bozza di giugno) i trasformatori posti a monte dei punti di connessione della rete elettrica, nonché i misuratori dell’energia elettrica funzionali alla produzione di energia elettrica;
c. (la new entry) gli impianti per la produzione di energia termica, utilizzata esclusivamente come calore di processo e non cedibile a terzi, con elettrificazione dei consumi termici, alimentati tramite energia elettrica rinnovabile autoconsumata ovvero certificata come rinnovabile attraverso un contratto di fornitura di energia rinnovabile;
d. (già b, nella bozza di giugno) i servizi ausiliari di impianto;
e. (già d, nella bozza di giugno) gli impianti per lo stoccaggio dell’energia prodotta.
C’è poi un’altra importante novità. La Legge 35/2024, per la conversione del DL 60/2024 (Decreto Coesione) aggiunge al Decreto-legge originario il comma 4 bis. Stabilisce, infatti, che al comma 5, dell’articolo 38 del DL 19/2024, dopo le parole: “destinata all’autoconsumo” siano inserite le parole “anche a distanza”. Che significa?
Ebbene, secondo la nuova disposizione sarà possibile installare pannelli e impianti di generazione di energia da fonti rinnovabili, secondo quanto stabilito dall’articolo 30, comma 1, lettera 2 del al D.Lgs. 199/2021. È quindi possibile produrre e accumulare energia elettrica rinnovabile per il proprio consumo anche diversamente.
La produzione e l’accumulo possono provenire da uno o più impianti di produzione da fonti rinnovabili, ubicati presso edifici o in siti diversi da quelli presso il quale l’auto consumatore opera. Sempre che tali edifici o siti siano nella disponibilità dell’auto consumatore stesso. In tal caso, l’auto consumatore può utilizzare la rete di distribuzione esistente, per condividere l’energia prodotta dagli impianti a fonti rinnovabili. Ma l’energia prodotta altrove va consumata nella struttura dove è in fieri l’investimento previsto dal Piano Transizione 5.0.