I nuovi Dazi USA in vigore dal 9 aprile 2025, da molti definiti un ritorno al protezionismo su scala globale, avranno inevitabili effetti sul commercio internazionale, sulla crescita del PIL e sull'andamento dei mercati finanziari.
Con l’introduzione di un dazio minimo del 10% su tutte le importazioni e altri aumenti ben più significativi in oltre 50 Paesi, la tariffa media di importazione statunitense sale al 20,6%.
Come confermano anche le stime di Allianz Trade, la Cina risulta il Paese più colpito, con dazi complessivi del 59%. L’impatto maggiore riguarderà tutto il Sud-est asiatico (Vietnam, India, Thailandia, Taiwan) e coinvolgerà anche l’Unione Europea. In area UE, i dazi medi di importazione cresceranno fino al 13,3%.
Le reazioni internazionali ai Dazi USA
L’impatto geopolitico di queste misure è immediato, sempre secondo lo studio di Allianz Trade reso noto l'8 aprile.
Le reazioni a livello internazionale non mancano. La Cina ha annunciato una contro-mossa tariffaria, con dazi aggiuntivi su beni statunitensi pari a 34 punti percentuali. Questa mossa colpisce potenzialmente circa 64 miliardi di dollari di esportazioni USA.
L’Unione Europea adotta un approccio più cauto. Sta valutando il da farsi e promette di annunciare le sue eventuali contromisure entro la metà di aprile. Settori strategici come quello farmaceutico e quello dei macchinari e delle attrezzature - ribadisce Allianz Trade - rimangono i più esposti ai dazi commerciali.
Altri Paesi, come India, Vietnam e Israele, hanno intenzione di cogliere l’opportunità per rafforzare i legami commerciali con gli Stati Uniti, anche attraverso nuove concessioni o negoziati bilaterali.

Le conseguenze economiche globali
Secondo le stime aggiornate di Allianz Trade, i Dazi USA avranno effetti rilevanti sull’economia globale.
La crescita mondiale nel 2025 potrebbe rallentare all’1,9%, il che sarebbe pari a un ritmo di crescita più lento dalla crisi finanziaria del 2008. Per il commercio globale ci potrebbe esser una fase di contrazione, con un calo dello 0,5% in volume.
L’economia statunitense subirà una frenata nei prossimi trimestri, con una contrazione del PIL stimata a -0,5% tra aprile e settembre 2025, e una crescita annuale dello 0,8%. L’inflazione USA tornerà a salire, fino al 4,3% entro l’estate, in seguito al rincaro dei beni importati.
Le Banche centrali Fed e BCE potrebbero ridurre maggiormente i tassi, anche se gli Stati Uniti dovranno fronteggiare crescenti rischi inflazionistici.
Quali effetti sul Made in Italy?
E in Italia? Per valutare l'impatto delle nuove misure tariffarie, intanto, consideriamo che, nel 2024, oltre il 48% del valore dell’export totale nazionale proveniva da aree extra-UE (control il 45% in Germania e Francia, il 37% in Spagna).
Gli Stati Uniti nel 2024 hanno assorbito oltre il 10% delle vendite italiane totali all’estero e oltre un quinto delle vendite di prodotti italiani verso i mercati extra europei. Tra i prodotti più venduti, ci sono quelli farmaceutici e i macchinari. In calo significativo, invece, l'export per autoveicoli, navi e imbarcazioni.
Export nazionale: i settori più colpiti
Tra i principali gruppi di prodotti esportati, rimangono rilevanti i tipici prodotti del Made in Italy come le bevande (vini), gli articoli di abbigliamento e i mobili.
Allianz Trade ipotizza che la tariffa media possa scendere dal 20,6% all'11,8% (entro il IV trimestre 2025), tenendo conto degli accordi bilaterali che invertirebbero parzialmente gli aumenti tariffari annunciati il 2 aprile. Alcuni Paesi invece subirebbero aumenti tariffari che erano stati esclusi il giorno della Liberazione. L’impatto dei Dazi USA sul PIL dell’Italia sarà di circa -0,2 punti percentuali per il 2025.
Anche i rischi di inflazione vanno al ribasso, poiché la minore domanda degli Stati Uniti e la sovraccapacità globale nel resto del mondo, nonché i prezzi più bassi dell'energia, avranno un effetto negativo sui prezzi dei beni nazionali e importati. Per il Made in Italy, la perdita massima attesa sull'export è stimata in 8 miliardi di dollari nel 2025, preceduta in Europa solo dalla Germania e dall’Irlanda.
I settori dei macchinari, dell’agroalimentare e delle bevande e del tessile, che da soli rappresentano il 30% delle esportazioni negli Stati Uniti, sono quelli che più rischiano dalla stretta commerciale.