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Il Super Bowl dei dazi USA, in attesa del 2 aprile 2025

Tra dietrofront, “gentilezza” e dichiarazioni inattese, l’imposizione daziaria annunciata da Trump è davvero una minaccia per il Made in Italy? E, soprattutto, quali sono le altre motivazioni della possibile guerra commerciale?

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Marianna Capasso

Manca meno di una settimana al Liberation Day, il “Super Bowl” dei dazi USA, la data tanto attesa dall’intera comunità globale. E mentre tutto il mondo sembra appeso al filo delle dichiarazioni statunitensi, si susseguono le visite strategiche a Washington.

Il recente “I may give a lot of countries breaks” (potrei concedere delle agevolazioni a molti Paesi) riaccende la singola speranza, minando le logiche d’insieme delle grandi comunità.

Le dichiarazioni del 26 marzo 2025

Poi, a sorpresa, nella tarda serata del 26 marzo 2025 (ora italiana), arriva un’anticipazione di quanto verrà ufficializzato il prossimo 2 aprile.

I dazi del 25% su tutte le auto non prodotte negli Stati Uniti. Con qualche eccezione per componenti messicane e canadesi. Uno spoiler sull’effettivo programma o semplicemente l’ennesima mossa strategica? Intanto non è ben chiaro quali siano gli obiettivi, reali, di Trump. E, soprattutto, cosa potrebbe cambiare per l’Italia.

Ci sono troppe variabili e molte tattiche sottese da analizzare. Tuttavia, è possibile delineare un quadro di massima, partendo dall’analisi dei numeri e dal principio di reciprocità. Sono due elementi da tenere in considerazione, per dissipare qualche dubbio. Perché tutto il resto somiglia tanto alla “diplomazia del bazar”, un concetto del detto non detto che, con il tempo, danneggia l’economia, creando caos, incomprensioni e malumori. E affossa le Borse.

Dalla campagna elettorale ai Dirty 15, l’iter dei dazi USA

We might be even nicer than that”: potremmo essere anche più gentili. Con queste parole Trump sembrava aver fatto un passo indietro, il 24 marzo 2025. Ma, dopo sole 48 ore, la situazione cambia nuovamente. Una continua altalena di emozioni e dichiarazioni, iniziata già durante la campagna elettorale. Quando il Presidente aveva annunciato una politica tariffaria aggressiva, parlando di una imposizione del 60% su tutti i prodotti cinesi, e del 20%, per le importazioni provenienti dai restanti Paesi.

E poi cosa è successo? Di fatto, dopo l’insediamento, le promesse non sono state mantenute totalmente (e per fortuna). È stato imposto un 10% aggiuntivo alle tariffe per il Made in China. E un iniziale +25% al Canada e al Messico, i due “soci” dell’Accordo USMCA. Proprio a loro. Ma, subito dopo, i dazi ai due confinanti sono stati sospesi per 30 giorni. Accogliendo le richieste dei tre Big dell’Automotive (General Motors, Ford e Stellantis), fortemente preoccupati da un possibile danno economico.

Il 24 marzo 2025, l’ennesima novità. Trump appare possibilista: i dazi potrebbero risparmiare alcuni settori. L’imposizione tariffaria su automobili, alluminio e prodotti farmaceutici verrà rimandata a un “futuro prossimo”. Troppo prossimo, evidentemente. Considerando che il 26 marzo 2025 Trump cambia versione e annuncia i dazi del 25% sulle auto non prodotte negli USA. Quindi anche a quelle Made in Mexico e in Canada.

Cos’altro quindi possiamo aspettarci, da qui al 2 aprile 2025? E, soprattutto, chi sarà veramente colpito dall’imposizione? Probabilmente i Dirty 15, una citazione pseudo cinematografica che fa riferimento al 15% delle Nazioni con cui Washington registra il peggior squilibrio commerciale. Non sono stati fatti i nomi, ma dovrebbero essere Cina, UE, Messico, India e Vietnam. Ma anche Brasile e Canada.

Il deficit commerciale e il principio di reciprocità

Per comprendere il tutto, facciamo un passo indietro. Il 13 febbraio 2025 veniva presentato il Fair and Reciprocal Plan, strategia secondo la quale si rendeva necessario l’aggiustamento delle tariffe doganali, prevedendo la reciprocità nelle imposizioni tra USA e tutti gli altri Paesi. Perché l’America non sarebbe stata più disposta a “tollerare pratiche commerciali sleali”.

L'automotive made in Europe

Tra i vari esempi riportati da Trump ci sono (oltre ai molluschi europei) anche l’automotive Made in Europe, che entra negli USA con un’imposizione del 2,5%. Ma, di contro, Bruxelles impone un dazio del 10% alle auto prodotte negli Stati Uniti. Iniquo, secondo il Plan. Questa, come tante altre, potrebbe essere una delle cause del forte deficit commerciale americano. Assieme all’IVA per le imprese extra-UE – imposta non prevista, invece, nel sistema USA.

A conti fatti, quindi, ogni anno, sin dal 1975, gli Stati Uniti hanno registrato un deficit commerciale di beni, che nel 2024 ha superato il trilione di dollari. La soluzione? Applicare il cosiddetto “principio di reciprocità”, per riequilibrare il commercio estero e rinsaldare la produzione locale. Con i dazi all’automotive, le case automobilistiche sposteranno le loro produzioni negli Stati Uniti, e ne beneficerà il Paese. Ma è davvero tutto qui?

I dazi USA, l’UE e la nuova diplomazia del bazar

Sicuramente gli USA intendono proteggere l’economia nazionale e spingere sull’acceleratore della produzione. Ma non solo. Trump vuole probabilmente arrivare ad un confronto diretto (per vie indirette) con la Cina che, negli ultimi 30 anni, ha liberamente agito secondo i principi dell’economia statecraft. Una economia utilizzata come leva del potere politico. Attraverso lo strumento di dazi, quindi, Trump vuole creare un blocco anti Pechino.

E l’UE, in tutto ciò? Paga lo scotto di una scelta non propria. Si trova tra due fuochi. Da un lato gli USA e dall’altro la Cina, più pericolosa che mai. Perché, come ha ricordato Mario Draghi al Parlamento europeo il 18 febbraio 2025, tutto ciò che non può dirigersi verso il mercato statunitense rischierà di collocarsi in Europa.

E se, per raggiungere i suoi obiettivi, la Casa Bianca imporrà un dazio del 20% alle importazioni UE, Bruxelles potrebbe trovarsi in serie difficoltà. Per l’automotive europea, il mercato statunitense rappresenta la prima destinazione delle vendite (il 25% sul totale globale). Con un export pari a 38,4 miliardi nel 2024. L’UE, quindi potrebbe dover rispondere altrettanto aggressivamente. Ma chissà se davvero tutto ciò accadrà: tutto dipenderà dalle diplomazie economiche.

Lo scenario manifatturiero italiano: quanto peseranno i dazi USA?

Inoltre, che peso avranno i dazi sul Made in Italy? Rispondiamo, partendo dai numeri. E precisamente da quelli del World Bank-WITS. Nell’ultimo biennio, l’export statunitense in Italia ha subìto, mediamente, una imposizione tariffaria dell’1,1%. Contro il 3,1 applicato a quello italiano, negli Stati Uniti. L’Italia, quindi, potrebbe trovarsi in una condizione favorevole, secondo il principio della reciprocità? Non proprio. Il basso valore è infatti frutto di una media dei vari settori produttivi.

Analizzando, infatti, nel dettaglio tutti i dazi, si evince uno sbilanciamento a favore del Bel Paese in diversi comparti, tra cui quello della meccanica e dell’elettronica (per il 59% dei prodotti), quello della gomma-plastica (per il 70%), l’agroalimentare e la chimica e farmaceutica (67%). In altre parole, oggi il dazio USA è più basso del dazio italiano. E con l’allineamento delle reciproche imposizioni, questi prodotti sarebbero penalizzati.

Pertanto, per pareggiare la situazione, i dazi sui beni della meccanica, della plastica e dell’agroalimentare, in entrata negli USA, dovrebbero aumentare. Ma l’incremento non è uguale per tutti i settori. Sicuramente è forte per l’automotive europea, come annunciato. Ma anche in questo caso bisogna capire se effettivamente il dazio sarà “permanente”, come annunciato. E quanto (o se) colpirà anche le componenti.

L’incremento dei dazi USA e le conseguenze per il Made in Italy

Dunque, partendo dall’attuale imposizione daziaria, e in considerazione del famigerato principio della reciprocità, il possibile scenario impositivo è importante, ma meno grave di quel sembra. In teoria. Escludendo l’automotive, per oltre 480 prodotti esportati verso gli USA, l’incremento potrebbe arrivare a un massimo del 17%. Non poco, indubbiamente.

Tuttavia, per la restante parte (attualmente in squilibrio, seppur lieve), ovvero l’89% dei beni, l’aumento tariffario non dovrebbe superare il 5%. In particolare, per meccanica ed elettronica si calcola un +1,4%. Diversamente, appaiono più penalizzati i prodotti dell’agroalimentare (+5,8%).

Chiediamoci, però, se davvero gli USA applicheranno il principio di reciprocità anche all’Italia. Ricordiamo tutti come, lo stesso Trump, nel suo primo mandato, aveva graziato alcuni beni italiani dall’imposizione dei dazi compensativi. I dazi autorizzati dalla WTO e imposti all’UE, di seguito alla querelle Airbus-Boeing. Dunque, è tutto ancora in fieri. E tanto dipenderà dalla diplomazia economica.

Resta poi il dubbio sui 280 e più prodotti che, invece, subiscono imposizioni più alte negli USA che in Italia (molti anche del comparto meccanico ed elettronico). È prevista una riduzione, secondo il principio della reciprocità? Al momento non è dato saperlo. Ma manca poco.

Il Super Bowl dei dazi USA, in attesa del 2 aprile 2025 - Ultima modifica: 2025-03-27T10:49:16+01:00 da Marianna Capasso