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Formazione: leva strategica sì, ma con gap da colmare

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Gaia Fiertler

Arriva la prima indagine della Corporate Education Community del Mip Business School del Politecnico di Milano patrocinata da Asfor, l’associazione italiana per la formazione manageriale, sui trend della formazione e le prospettive future. Che ruolo gioca la formazione nella trasformazione aziendale? Come cambia nel post pandemia per tematiche, formati, strumenti? Che ruolo giocano le nuove tecnologie?

All’indagine della Corporate Education Community del Mip Politecnico di Milano, con il patrocinio di Asfor, hanno partecipato 116 aziende, con una survey agli HR manager; 5 focus group con le 32 imprese della Community, 11 casi studio, interviste one to one e informazioni e dati integrati con analisi desk. La maggior parte delle imprese del campione si trovano nel Nord Italia, rappresentano 82 codici Ateco differenti e il 29% sono pmi. I risultati sono stati oggetto di analisi e riflessione da parte dei docenti del Mip, di Asfor e dei manager HR di aziende della Community.

La formazione tiene e cresce la platea

Le aziende hanno risposto all’emergenza Covid anche attraverso la leva della formazione, che ha tenuto come progettazione ed erogazione in formati nuovi, digitali e blended. In particolare ha registrato 1,5 punti percentuali in più tra il 2019 e il 2020 nelle grandi imprese, a fronte di una lieve flessione nelle pmi.

Nel complesso, comunque, si conferma il trend positivo degli ultimi cinque anni: nel 2020 gli interventi formativi hanno raggiunto il 70,98% della popolazione aziendale, rispetto al 58,83% del 2015 e la maggior parte delle imprese (75%) conferma il trend di crescita per il prossimo triennio. In particolare energia, assicurazioni e servizi finanziari hanno coinvolto la maggiore percentuale di collaboratori e il commercio, trasversalmente ai settori, ha più che raddoppiato nell’ultimo quinquennio, passando dal 25% dei dipendenti al 59% nel 2020.

Nell’ultimo anno c’è stato un maggiore impegno di figure a tempo pieno nelle divisioni HR, dovendosi dedicare alla progettazione e all'erogazione di nuovi corsi e formati, a fronte di oltre due ore in meno a testa di fruizione, forse per le nuove modalità di interazione che vanno contenute nei tempi per tenere alta l’attenzione.

Nel complesso, comunque, nell’ultimo anno le attività didattiche hanno impegnato i dipendenti tra le 20 e le 30 ore a testa. I principali erogatori di formazione sono società di consulenza e academy interne, che sono utilizzate e valorizzate soprattutto dalle grandi imprese per le economie di scala che riescono a sfruttare, mentre le pmi si rivolgono più alle business school.

Che formazione si fa? Soprattutto aggiornamento

Per maggior parte dei rispondenti (83,6%) la formazione serve per l’aggiornamento professionale, per colmare lacune formative (74,2%) e per rispondere ai cambiamenti di mercato e agli avanzamenti tecnologici (72%). A scendere, ma sempre sopra il 60%, viene usata per supportare cambi di mansione/ruoli e per innescare cambiamenti culturali in azienda (64%).

Il 56% le riconosce un ruolo di attrazione e mantenimento dei talenti e il 47,7% anche un effetto motivazionale. Per il 46% aiuta a rinforzare l’identità aziendale per il 42% incentiva il team building, mentre solo una minoranza, quasi uno su quattro, le attribuisce una valenza premiante.

«Sono tutte aree in cui si può rafforzare il senso e la funzione della formazione come leva strategica, in coerenza co il ruolo che le viene riconosciuto», commenta Tommaso Agasisti, associate dean del Mip. È infatti ampiamente riconosciuta la sua funzione strategica, ossia l’essere di supporto alle strategie di business aziendali e alla trasformazione in atto, evidenziabile per esempio nel supporto ai cambiamenti culturali e alle risposte al mercato e alla digitalizzazione, ma per altri aspetti emerge che, nei fatti, non sempre alle dichiarazioni seguono scelte e azioni coerenti.

Uno degli strumenti sempre più utilizzati dalle grandi imprese è quello delle community interne tra pari e con docenti interni, ambasciatori del cambiamento, “change agent” per identificare i bisogni, non più top-down, e non tanto per colmare gap di competenze o svilupparne di nuove, ma per favorire il cambiamento culturale e strategico e tenere il passo con il mercato e le tecnologie.

«Questa è una interessante indicazione che conferma il potenziale ruolo della formazione come fattore rilevante nel guidare il cambiamento, quindi con funzione strategica e non solo per trasmettere conoscenze», aggiunge Davide Chiaroni, associate dean del Mip.

Il gap “strategico” della formazione

Dalla ricerca emerge però che non ci sarebbe ancora sufficiente corrispondenza tra affermare il valore strategico della formazione nel supportare le sfide e la trasformazione delle imprese e le azioni conseguenti, in particolare nella pianificazione e nella comunicazione alle altre divisioni aziendali. Rispetto alla pianificazione della formazione, infatti, benché il 61,7% affermi di essere consapevole del suo ruolo strategico, in quasi una su due (46%) il piano di formazione non è integrato al piano strategico come sezione dedicata, ma lo è solo nel 30% dei casi, mentre per un 10% è quantomeno allegato.

Il gap aumenta nelle piccole e medie aziende, ma anche sui contenuti c’è uno scollamento, perché si tratta soprattutto di pianificazioni di budget (77%), che non entrano troppo nel merito dei contenuti e della loro rilevanza per le priorità aziendali (58%), delle persone formate (50%), delle ore di formazione (57%) o delle modalità (49%), dettagli lasciati più all’operatività e a pianificazioni più a breve termine.

In secondo luogo, l’allineamento tra formazione e obiettivi strategici passa anche da una forte integrazione tra quella e gli altri processi aziendali. Tuttavia, neanche un’azienda su due (48%) comunica il piano di formazione ai colleghi delle altre divisioni e forse non è un caso che la metà delle aziende che non elaborano un piano abbiano vertici che la considerano poco rilevante. In particolare, il 29% lo rende disponibile sulla intranet aziendale, il 17% attraverso il piano strategico e il 2% attraverso entrambi i canali, mentre il 26% lo comunica solo internamente alla divisione HR e il 7% non lo formula nemmeno.

«Bisogna avere una visione di medio-lungo periodo dell’impresa per dare rilevanza strategica alla formazione, perché la formazione si valuta sul medio-lungo tempo e, in particolare, quella manageriale che ha bisogno di tempo per generare nuovi comportamenti e approcci. Non mi sorprende che i vertici aziendali non diano valore alla formazione: se dai priorità all’efficienza, come negli ultimi anni e prevale una visione di breve termine dell’impresa, c’è poco spazio per il cambiamento culturale, organizzativo e manageriale e anche la formazione non trova un suo spazio adeguato», commenta Marco Vergeat, presidente Asfor.

Temi e tecnologie: Gaming, VR e AI

La priorità per il prossimo triennio resta la digital transformation, seguita dall’agile e dalla lean, dallo smart working, dalla diversity inclusion, dal project e data management, dal problem solving, dall’innovation design, dal data science big data. A metà della classifica si trova la sostenibilità energetica e, in fondo, come meno prioritario, il finance accounting, il supply chain management e il manufacturing management.

L’utilizzo di piattaforme digitali e di teleconferenze hanno raggiunto una elevata maturità durante la pandemia anche nella formazione, mentre gaming, realtà virtuale a AI sono strumenti non ancora maturi nella formazione aziendale, ma si prevede avranno il maggior sviluppo nel prossimo triennio.

Il Covid ha accelerato processi di digitalizzazione già in corso e ha richiesto investimenti tecnologici molto variabili tra le piccole e le grandi aziende, senza tuttavia spostare sostanzialmente i budget della formazione, mentre sono cambiate le tecniche di erogazione con la modalità live (sincrona) online. Le aree meno efficaci del digital learning si sono dimostrate l’onboarding e l’engagement delle persone.

Sul potenziamento degli strumenti impiegati e su un bilanciamento delle sessioni in presenza e di quelle online (sincrone e asincrone) si giocherà l’efficacia della formazione blended del post pandemia (vedi l’approfondimento sulla formazione ibrida sulla rivista Industrie 4.0 di novembre 2021).

Formazione: leva strategica sì, ma con gap da colmare - Ultima modifica: 2021-10-29T08:50:19+02:00 da Gaia Fiertler