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Benessere in azienda: il potere dell’ascolto, del dialogo e delle emozioni

Soluzioni e proposte innovative per favorire l’ascolto dei dipendenti e incoraggiare azioni e comportamenti che favoriscano il benessere in azienda, riducendo fenomeni di distress e burn-out, purtroppo in aumento nelle imprese.

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Gaia Fiertler

Anche prima del Covid il benessere era un’area di miglioramento per molte aziende, con basse percentuali di engagement, ossia di coinvolgimento e disponibilità a farsi in quattro da parte dei dipendenti, ma le condizioni sono peggiorate negli ultimi due anni, come conferma il fenomeno delle grandi dimissioni.

Oggi uno su due ha cambiato o vuole cambiare posto di lavoro e questo dato rivela un malessere generale, ancor più preoccupante in un mercato rigido come il nostro. Il livello di engagement si è ridotto ancora di più nell’ultimo anno, passando dal 20% al 14%, mentre solo il 17% si sente davvero incluso e valorizzato in azienda. Questo livello di insoddisfazione e volontà di cambiare azienda cresce nei più giovani (18-30 anni), in determinati settori (ICT, servizi e finance) e per funzioni digitali, come è emerso nell’ultimo Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano.

Cosa fare allora per cercare di intervenire prima che sia troppo tardi? Come creare un dialogo e un’apertura verso i propri collaboratori, una people strategy che tenga conto delle diverse esigenze ed evitare fenomeni di stress e burn-out che hanno effetti negativi non solo sulla vita aziendale, ma anche sulla possibilità di attrarre e trattenere talenti? La sperimentazione è in corso.

Il potere del dialogo e dell’ascolto

Favorire il dialogo e occasioni costanti di confronto è sempre più necessario, perché la survey annuale di clima non riesce a stare al passo con i ritmi del cambiamento e neppure il feedback annuale con il proprio responsabile. Oggi è doveroso è possibile intensificare la relazione con i collaboratori, grazie anche alle nuove tecnologie e alle piattaforme d’ascolto, come Glickon e Medallia.

Ma non solo, sono in corso anche altri tipi di sperimentazione. In Calearo Antenne, per esempio, storica impresa vicentina che realizza tecnologie avanzate per la comunicazione, la pandemia ha portato un aumento generalizzato del livello di stress perché i lavoratori spesso portavano con sé in ufficio o in produzione un forte carico emotivo dovuto alla situazione globale.

Benessere in azienda soluzioni 2022
Foto credits: Calearo

Così il management ha deciso di non restare a guardare e ha interpretato in modo “non tradizionale” i corsi di aggiornamento obbligatori sulla sicurezza, inserendo una proposta formativa dedicata allo stress lavoro correlato, alla sua valutazione, alla riflessione condivisa su quanto emerso e alla restituzione sul piano di miglioramento e sulle azioni da mettere in atto come azienda. Lo ha fatto con il supporto di Niuko Innovation & Knowledge, la società di formazione di Confindustria Vicenza.

Proprio raccogliendo un’indicazione emersa dalla valutazione dello stress lavoro correlato, l’azienda ha deciso di coinvolgere i lavoratori in un’attività focalizzata sui meccanismi anche biologici che lo originano e sulla gestione delle emozioni, invitandoli a elaborare il proprio vissuto e le possibili strategie di risposta. È stata anche formata una figura preposta che, con i colleghi dell’area HR, ha un ruolo chiave nel monitoraggio e nella promozione del benessere organizzativo, che incide anche sui livelli di sicurezza.

Accanto alle necessarie competenze tecniche e normative, infatti il “preposto” deve mettere in campo competenze relazionali, comunicative e di team building, un’antenna in campo in grado di registrare situazioni di disagio e di forte stress che possono compromettere la sicurezza stessa aziendale.

«La proposta formativa apparentemente “fuori dagli schemi” costruita con Niuko, che chiedeva ai lavoratori di mettersi in gioco, è stata accolta in modo estremamente positivo tanto che i questionari di gradimento ci hanno restituito un livello di soddisfazione pressoché unanime e oltre l’80% ritiene di considerare altamente spendibili le competenze acquisite. Ecco perché è nostra intenzione ripetere l’esperienza», commenta Elena Cortese, HSE manager di Caleanno Antenne.

Allenarsi ad esprimere e rielaborare le emozioni

Sta infatti emergendo che non serve solo una educazione all’ascolto da parte dell’organizzazione, ma anche l’abitudine a esprimere le proprie emozioni da parte dei collaboratori, per prenderne consapevolezza, per rielaborarle e, a volte, per modificare pensieri e comportamenti; altre volte per comunicare nel modo corretto un disagio e/o fare proposte migliorative al team e ai responsabili.

Il digital coaching, per esempio, che si sta diffondendo a tutti i livelli aziendali con un processo di democratizzazione, scalabilità e agilità, sta dando risultati positivi anche ai fini del benessere dei dipendenti. Vengono infatti registrati un morale più alto e una maggiore apertura e disponibilità ai processi di business e alle politiche di cambiamento, nelle società che ne stanno facendo uso.

Da un punto di vista quantitativo, poi, il coaching on demand migliorerebbe le performance dei singoli e delle organizzazioni, con incrementi di produttività fino a 115,9 milioni di dollari, un miglioramento del 3-5% nella capacità di trattenere i talenti e il risparmio di un’ora di tempo delle HR per ogni dipendente, nelle imprese che negli ultimi tre anni abbiano utilizzato la piattaforma CoachHub, secondo la ricerca “Total Economic Impact (TEI)” realizzata da Forrester Consulting per conto di CoachHub.

Esprimere le proprie emozioni, in positivo e in negativo, è infatti ancora un tabu per quasi metà dei lavoratori in Italia, come emerge da un recente studio di LinkedIn. Infatti, per oltre due terzi (68%) condividere le emozioni sul lavoro è ritenuto fondamentale per sentirsi parte di un team e per stimolare la produttività, convinzione che arriva al 77% con la Generazione Z (GenZ, tra i 18 e i 25 anni), eppure quasi la metà (48%) sostiene che ci sia ancora uno stigma negativo associato all’aprirsi sul lavoro.

Secondo il 55% dei rispondenti, per esempio, le donne sarebbero giudicate più duramente rispetto agli uomini quando condividono i propri sentimenti. Inoltre il 40% è d’accordo che “piangere al lavoro non sia professionale” e il 30% che “non sia opportuno aprirsi con il proprio superiore”, sempre per la medesima ragione.

GenZ: gli effetti della pandemia e del digitale sull’espressione delle emozioni

Nei più giovani, la propensione a parlare apertamente delle proprie emozioni al lavoro è fortemente aumentata dopo la pandemia. Oltre il 57% ora si sente più a proprio agio, contro il 30% dei loro padri (i baby-boomer), anche nel lasciar trapelare la tristezza (34% contro il 14% dei più senior). Questa tendenza trova conferma anche tra chi lavora in modalità ibrida: per il 30% della GenZ il lavoro flessibile è un fattore che li ha resi più sicuri nell’aprirsi e manifestare le proprie emozioni, mentre solo il 23% di quelli tra i 42 e i 57 (GenX) e 19% dei lavoratori tra i 58 e i 60 ha dichiarato lo stesso.

Anche le relazioni “digitali” incoraggiano i giovani a esprimersi.
La confidenza e l’abitudine a instaurare relazioni virtuali fa sì che il 21% dei giovani si senta più a proprio agio nel comunicare sentimenti e stati d’animo al proprio capo e ai colleghi tramite applicazioni di Instant Messaging. Solo il 6% dei lavoratori dai 55 anni in su, invece, usa questo mezzo al medesimo scopo. I giovani cercano anche supporto su LinkedIn: oltre uno su tre (34%) ha visto aumentare il sostegno in reazione a post in cui descriveva i propri sentimenti sul lavoro, mentre solo il 17% dei baby-boomer ha dichiarato lo stesso.

I più senior, invece, fanno leva sullo humour per distendere le relazioni e contribuire a un clima più sereno, in cui potersi esprimere liberamente. Comparando i risultati globali, i lavoratori italiani, insieme agli indiani, sono tra i più spiritosi. Oltre uno su due (54%) condivide una battuta almeno una volta al giorno, contro il 33% degli australiani, il 40% dei francesi, il 41% degli inglesi e il 48% dei tedeschi. Non solo, in Italia 7 partecipanti su 10 (70%), e in particolar modo quelli dai 55 anni in su (72%), sono d’accordo nell’affermare che l’umorismo faccia bene alla cultura aziendale. Insomma, una risata ci salverà.

Benessere in azienda: il potere dell’ascolto, del dialogo e delle emozioni - Ultima modifica: 2022-07-27T10:12:27+02:00 da Gaia Fiertler