Aiutare le aziende a gestire il cambiamento organizzativo e tecnologico e favorire il benessere e il coinvolgimento delle persone. Da Workegg, alleanza di servizi a supporto dell’HR, a piattaforme di ascolto nate per la consumer experience, fino al rilancio del welfare aziendale
Prima lo smart working e, ora, lo scenario probabile di un lavoro ibrido, da ripensare e organizzare tra sessioni in presenza e altre in remoto. Comunque le imprese decidano di rimodulare attività e processi, la divisione HR o l’imprenditore e i suoi riporti diretti sono impegnati nella gestione di nuovi scenari organizzativi e tecnologici, che avranno bisogno di una precisa definizione e regolamentazione quando l’emergenza sarà finita.
Per ora, sui temi giuslavoristi più delicati il dibattito è in corso e, sul fronte delle aziende, una su due non sa come dovrà contrattualizzare il lavoro ibrido. È invece consapevole dell’aumento dei rischi informatici connessi con l’introduzione delle piattaforme digitali per lavorare da remoto sulla rete aziendale, ma solo una su tre (36%) ha introdotto misure di protezione idonee, intervenendo sulla struttura IT, modificando firewall, antivirus, authority agli accessi o Vpn gateway per garantire la continuità operativa.
È un quadro incerto e confuso che emerge dalla survey del broker assicurativo Marsutti, che tra novembre 2020 e gennaio 2021 ha intervistato oltre 30 imprese rappresentative, con un fatturato oltre i 10 milioni di euro e più di 50 dipendenti.
Identikit dell’azienda media post Covid
Dalla survey di Mansutti emerge l’identikit dell’azienda media italiana che, nell’ultimo anno, ha dovuto riorganizzarsi internamente con nuove modalità di lavoro e di connessione alla rete aziendale.
Il 60% dichiara che nel post covid continuerà a utilizzare lo smart working, ma in percentuali non superiori al 20% della forza lavoro. Non sa bene come contrattualizzare il lavoro agile: una su due dichiara infatti di non disporre di informazioni chiare e precise su forme e modalità attraverso cui regolarizzarlo.
La maggioranza (77%) ha fornito ai propri dipendenti gli strumenti per svolgere l’attività lavorativa da casa, ma neanche una su quattro ha verificato gli spazi di lavoro, la connessione di rete o ha avviato iniziative di formazione tecnica e comportamentale. Infine, la maggioranza (56,7%) considera il remote working più uno svantaggio che un vantaggio, poiché la flessibilità lavorativa avrebbe determinato maggiori carichi di lavoro ai dipendenti.
«Le nuove modalità di lavoro e di interconnessione, l’ibridazione degli spazi, la dirompente presenza della tecnologia e la protezione della sicurezza dei dati e della rete stanno rendendo necessaria l’introduzione di nuovi modelli di business, di leadership e di riorganizzazione aziendale.
Le complessità da gestire nello smart working sono diverse ed è quindi fondamentale conoscerle e saperle affrontare in modo efficace, con l’obiettivo di trasformarle in opportunità di cambiamento e miglioramento», spiega Tomaso Mansutti, AD Mansutti. Il broker assicurativo, insieme ad altri esperti di consulenza legale, cybersecurity, digitale, IT e manageriale, ha dato vita al progetto di alleanza Workegg per fornire un servizio completo di smart change management alle pmi.
Sei passi per mitigare i rischi
I consigli di Marsutti per assicurarsi continuità operativa in ogni circostanza, rendimenti, protezione degli asset e mitigazione dei rischi sono i seguenti:
1. Verifica della contrattualistica assicurativa in atto, mappatura e trasferimento dei rischi.
2. Negoziazione e redazione di accordi di smart working collettivi e individuali.
3. Assessment e implementazioni in ambito di data protection e cybersecurity.
4. Analisi degli spazi e relative destinazioni d’uso per produrre proposte progettuali di workplace digitale.
5. Elaborazione di un piano di business continuity strutturato da aggiornare ogni anno.
6. Politiche HR: coordinamento di tutte le attività dedicate ai lavoratori, come la formazione, la comunicazione interna ed esterna e le azioni di change management per realizzare e supportare l’evoluzione culturale e organizzativa aziendale.
Partire dall’ascolto
Una cosa che si è imparata in quest’anno di lavoro svolto forzatamente a distanza è che, per andare incontro alle persone e prendere decisioni per il loro benessere, bisogna prima ascoltarle. Lo stato emergenziale e impattante a tutti i livelli della vita di ciascuno di fatto ha aumentato la consapevolezza del valore dell’ascolto.
Le nuove tecnologie possono aiutare, soprattutto nelle medie e grandi aziende dove il contatto è meno diretto, anche a distanza, tra capi e collaboratori: con piattaforme d’ascolto sui sentiment e le condizioni di agio o disagio della forza lavoro, sfruttando anche l’intelligenza artificiale. Soluzioni nate per migliorare la user e consumer experience, stanno iniziando a entrare anche nel mondo HR, come la piattaforma di Glickon usata, per esempio, nel processo di recruiting dell’azienda tessile Reda.
Ma anche Beaconforce introdotta da Toyota Motors Italia già prima della pandemia per tracciare il grado di benessere e coinvolgimento dei dipendenti, quindi utilizzata come strumento di ascolto costante nel corso del 2020 e arricchita di Instant Survey su aspetti specifici (leggi l’intero caso sul numero di marzo di Industrie 4.0 in uscita).
E ancora, in fase di introduzione in Italia in ambito HR, la piattaforma Medallia Experience Cloud (SaaS), segnalata anche da Gartner e Forrester e diffusa per la customer experience.
Spiega Giancarlo Rocco, VP e Country Manager di Medallia per l’Italia: «Il digitale rende molto più facile raccogliere feedback, idee e suggerimenti su molteplici aspetti del lavoro dei singoli dipendenti, scoprendo lo stato d’animo con cui vivono l’azienda in modalità anonima e sfruttando canali facilmente accessibili, con un doppio vantaggio.
I dipendenti si sentono apprezzati e l’azienda acquisisce informazioni in tempo reale sulle opportunità da cogliere e sulle aree di debolezza in cui intervenire. Ascoltare il proprio personale in un momento di forte discontinuità come quello attuale significa riuscire a migliorare i processi, individuare più efficientemente e velocemente le soluzioni innovative o il processo di trasformazione e ridefinire le priorità degli investimenti futuri in un’ottica di ottimizzazione. Le aziende che quest’anno offriranno ai dipendenti canali digitali semplici da usare per verificare, per esempio, come si sentono riguardo alle ricadute del perdurare dell’emergenza Covid sulle loro mansioni o alle iniziative e comunicazioni che l’azienda ha messo in atto nell’ultimo anno, oppure, quale percezione traggono dalle mutate esigenze dei clienti, saranno in grado di trasformare l’esperienza dei dipendenti in una fonte preziosa di miglioramento».
Ripartire dal welfare aziendale e comunicarlo
In una fase di disagio, di percezione di eccessivi carichi di lavoro e di incertezza, rilanciare i servizi di welfare aziendale con una comunicazione adeguata, e introdurne laddove non si sia già attrezzati, può essere un modo concreto per migliorare il clima aziendale e il livello di engagement dei dipendenti. Puntare sui propri collaboratori, facendoli sentire protetti, in modo che possano proseguire le loro attività in totale sicurezza dovrebbe essere la priorità per gli imprenditori e capi azienda secondo Riccardo Zanon, esperto di diritto del lavoro e autore di un libro sul welfare aziendale e, più di recente, di “Welfare terapia”.
«Strumenti come lo smart working, la palestra online, il maggiordomo aziendale, il baby-sitting e il tanto screditato trasporto collettivo con navette aziendali che oggi, invece, eviterebbero di prendere i mezzi pubblici, possono fare la differenza, motivando il dipendente e spingendolo a lavorare con più impegno», commenta Zanon.
Tuttavia, anche dove le iniziative siano disponibili o siano state introdotte all’occorrenza, queste richiedono un’adeguata attività di comunicazione perché siano utilizzate e possano aiutare i dipendenti a sentirsi meglio e a lavorare con più entusiasmo. Come ha rivelato una recente indagine di Nomisma e Cgil su 70 aziende e un campione di 1.822 lavoratori, di cui il 49% impiegati, il 45% operai e il 6% quadri, solo il 45% ha dichiarato di essere stato informato a grandi linee delle iniziative prese, mentre il 9% dichiara di non essere stato proprio informato.
«Come avrebbero potuto gestire lavoro da casa e figli piccoli con le scuole chiuse? Sarebbe stato sufficiente predisporre un piano di welfare aziendale, informando i lavoratori, dove previsto, della possibilità di poter avere il rimborso per la baby-sitter. Ma oggi le cose stanno cambiando, perché la pandemia ha sollecitato l’attenzione su alcuni aspetti ancora poco conosciuti di uno strumento potente come il welfare aziendale. Le imprese risparmiano sul piano fiscale, ma possono offrire opportunità e servizi che agevolino e rendano migliore la vita dei propri dipendenti, non solo nella normalità, ma anche nel momento del disagio più inaspettato. In questo senso, il post-pandemia potrà aumentare ulteriormente l’interesse per questa forma di servizi e benefit, che favoriscono la serenità del lavoratore e aiutano gli imprenditori ad avere dipendenti più contenti e disponibili», conclude Zanon.