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Transizione ecologica, ma quanto è green la tua azienda?

Pmi e ambiente: un test aiuta le piccole e medie imprese a orientarsi tra criteri, ambiti e opportunità per ridurre l’impatto ambientale. Un primo passo verso una mentalità più sostenibile, con una presa di coscienza del proprio posizionamento e la possibilità di avviare una Roadmap personalizzata per contribuire alla transizione. I consigli dell’esperto, Alberto Canepari, partner di Gianesin Canepari & Partners

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Gaia Fiertler

Tutti ne parlano, ma quanti la praticano? La transizione ecologica, insieme a quella digitale, è al centro del progetto Next Generation EU e un’intera Missione del PNRR è incentrata su questi temi. Questo significa tante risorse in arrivo, ma anche l’urgenza di un cambio di paradigma nella gestione delle imprese.

S’impone, infatti, la necessità di un approccio che tenga conto dell’impatto ambientale dei propri processi e prodotti, oltre gli adempimenti di legge. Ripensare l’organizzazione in questa chiave ha effetti anche sul business e sulla competitività, come spiega il World Manufacturing Foundation.

Da dove partire allora per intraprendere la via della sostenibilità? Un questionario che indaghi il livello di sostenibilità ambientale della propria azienda può aiutare ad aprire la strada, con una prima analisi della propria condizione di partenza e, quindi, aprire le porte a una Roadmap per ridurre la propria “Carbon Footprint” e contribuire agli obiettivi di decarbonizzazione e di riduzione dell’emissione dei gas serra.

Lo scopo della ricerca su transizione ecologica e sostenibilità

La società di consulenza Gianesin Canepari & Partners offre uno strumento qualitativo di autovalutazione alle pmi per iniziare a orientarsi su questi temi, con 60 domande a risposta multipla su otto dimensioni aziendali: Strategia e organizzazione, Marketing e comunicazione, Eco-design (progettazione), Fabbrica a 0 emissioni, Logistica, Ufficio, Lean&Green, Sensibilità. Il test “Quanto è green la tua azienda” è disponibile sul sito.

Alberto Canepari

«Abbiamo pensato a una ricerca itinerante con cui raccogliere preziose indicazioni sull’orientamento delle aziende, soprattutto le Pmi, in ambito ambientale: quali le aree in cui sono più allineate agli obiettivi europei e quali su cui sono più indietro, dove potrebbe servire un supporto strategico e operativo per affrontare la doppia sfida, digitale ed ecologica», spiega Alberto Canepari, partner Gianesin Canepari & Partners.

A conclusione del test, infatti, ogni partecipante riceve un report personalizzato sullo “stato di salute” della propria azienda, grazie al quale confrontarsi con i risultati medi del campione e ricevere degli input su come ridurre costi e sprechi e progettare un piano di transizione. L’approccio seguito dalla società veneta, con sedi ad Asolo e a Fano nelle Marche, è infatti la Lean Manufacturing, applicata anche alla sostenibilità ambientale.

In questi primi due mesi hanno aderito soprattutto aziende venete (80%), seguite da imprese toscane, marchigiane ed emiliane. Il campione è costituito per lo più da medie (46 %), piccole (36%) e micro (13%) principalmente del settore metalmeccanico (30%), commercio (13%), arredamento/costruzioni (10%), servizi (10%), automotive (6,7%) e calzature (6,7%).

Una prima parziale fotografia delle pmi italiane

«Da queste prime rilevazioni emerge che le aziende non sono ferme, iniziano a pensare che investire nell’ambiente non sia solo un costo e un dovere, ma una opportunità e sono molto attente al risparmio energetico e alla gestione dei rifiuti. Le aree più deboli, al momento, sono invece la logistica verde, nella scelta dei fornitori e delle modalità di trasporto/movimentazione delle merci, la misurazione delle prestazioni ambientali; la progettualità di un piano di transizione e la comunicazione, sia interna che esterna, della propria strategia ambientale», spiega il consulente.

Nell’area Strategia e Organizzazione, per esempio, emerge un certo impegno a favore dell’ambiente con azioni concrete e un processo per identificare, valutare e rispondere ai rischi ambientali (indicazione medio-alta al 70%), ma sembrano azioni poco formalizzate. È infatti ancora bassa l’adesione a enti di certificazione con metodologie definite per divulgare le informazioni ambientali, così come la redazione di un bilancio sociale e/o di sostenibilità (30%), mentre cresce, ma relativamente e ancora in area “rossa” di gap ambientale, la comunicazione all’esterno delle proprie prestazioni (43%) e la certificazione ISO 14001 (45%).

L’eco-design è un’area ancora acerba in ambito industriale: manca una cultura della progettazione che tenga conto dell’intero ciclo di vita di un prodotto con il suo impatto ambientale attraverso un Life Circle Assessment, anche semplificato, per misurare l’impatto ambientale dell’intero ciclo di vita del prodotto (35%). Come è ancora poco diffusa la pratica di sostituire lavorazioni o materiali dannosi per l’ambiente con altri più sostenibili.

Tuttavia, sembra esserci più attenzione alle singole fasi del processo di produzione, dalla scelta delle materie prime perché non impattino troppo sull’ambiente. Alla fase successiva della produzione, all’impiego del prodotto (60%) e allo smaltimento (58%). Negli impianti produttivi (dimensione “Fabbrica a zero emissioni”) l’attenzione ai risparmio idrico ed energetico e alle emissioni dirette è medio-alta, forse anche per gli adempimenti di legge e per politiche di efficienza. Si misurano i consumi, compresa l’emissione dei fumi dai camini e si gestiscono in modo efficiente fino a un controllo accurato sui rifiuti (83%), sulla raccolta differenziata (89%) e sul loro smaltimento (83%). Si investe anche in una formazione dedicata (83%).

Quello che è ancora carente, piuttosto, è il supporto tecnologico alla gestione dei rifiuti (43%) e una pianificazione per una loro riduzione sistematica o per il loro riutilizzo nel ciclo produttivo (50%). Ed è ancora poco sentita l’incidenza dello smart working sui costi energetici del pendolarismo (38%).

Anche la logistica nelle pmi non sembra sfruttare appieno i benefici di una organizzazione sostenibile, come selezionare i fornitori in base ai loro standard ambientali (44%) e mezzi di trasporto più ecologici (45%). C’è più sensibilità invece nell’uso di imballaggi riutilizzabili (60%).

In generale, in ufficio, c’è una maggiore mentalità anti-spreco, con punte nella raccolta differenziata (81%) e nei sistemi di riscaldamento temporizzati (80%), mentre non è ancora diffuso l’utilizzo di energia termica generata in produzione o da altre aziende (38%). In pratica, manca ancora il concetto di circolarità applicato ai consumi energetici, come pure la cultura della misurabilità degli impatti (36%) e la definizione di obiettivi quantitativi, in base a indicatori per ridurre i costi ambientali (40%).

C’è però sensibilità e consapevolezza del vantaggio competitivo nel presente, nel futuro e soprattutto sui mercati esteri, ma prevale la convinzione/motivazione di farlo più per contribuire al benessere collettivo (78%), che per aumentare i ricavi (50%). «Perché si investa in modo continuativo e consistente in una manifattura sostenibile, sarà importante prendere coscienza e avere conferma dei sui benefici economici, come la riduzione dei costi di produzione ed energetici e il vantaggio competitivo delle scelte green», raccomanda Canepari.

Gli 8 consigli per un piano efficace di transizione ecologica

«Oggi serve un approccio più strutturato sui temi ambientali anche nelle pmi», spiega Canepari, che offre otto consigli per realizzare un piano di transizione ecologica.

  • Definire dei principi generali sempre più dettagliati - cui aspirare come organizzazione  - e mettere a punto un piano di transizione verso la decarbonizzazione.
  • Intraprendere un processo di certificazione o un qualche altro sistema di accreditamento e divulgazione dei dati ambientali. «I sistemi di certificazione aiutano l’azienda a strutturare il piano di cui sopra e le permettono di dimostrare che è attenta e sensibile a queste tematiche, diventando uno stimolo per l’intera organizzazione e un riferimento di sostenibilità all’esterno».
  • Comunicare di più all’esterno le proprie politiche ambientali per avere un vantaggio competitivo.
  • Definire e utilizzare un sistema di rilevazione sintetica per monitorare il proprio percorso verso la transizione green.
  • Definire degli obiettivi quantitativi per valutare gli impegni assunti e intervenire con azioni correttive in tempo reale.
  • Oltre a misurare i consumi, intraprendere progetti per ridurre i consumi, visti i costi sempre più alti delle fonti di energia.
  • Selezionare i propri fornitori anche per le loro prestazioni ambientali e considerare mezzi di traporto sempre più sostenibili anche per una migliore reputazione sul mercato.
  • Creare un gruppo di lavoro interfunzionale di persone motivate che facciano da traino a tutta l’organizzazione.

Transizione ecologica, ma quanto è green la tua azienda? - Ultima modifica: 2022-02-07T16:24:32+01:00 da Gaia Fiertler