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Tecnologie e dintorni per le Bioraffinerie

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Nicoletta Buora

Nella bioraffineria di Venezia si produce biocarburante utilizzando oli vegetali esausti. A breve entrerà in funzione anche il sito di Gela, che si alimenta con l’umido proveniente dalla raccolta differenziata. Un bell’esempio di economia circolare supportata dalle tecnologie digitali. E proprio l'economia circolare è il modello su cui punta Eni - segnando una nuova era nell’evoluzione di questa storica realtà che, con il suo fondatore Enrico Mattei, dagli anni Cinquanta ha fatto un pezzo di storia d’Italia - facendo leva su tre elementi: integrazione, efficienza e impiego della tecnologia.

In particolare, è la tecnologia che giocherà un ruolo strategico in tutti i settori, sia sul fronte delle tecnologie proprietarie, che hanno già permesso a Eni di riconvertire la prima raffineria di petrolio in bioraffineria al mondo, sia su quello più trasversale della Digital Transformation, imprescindibile per poter mettere a punto nuovi ed efficienti modelli di business in ottica circular.

Raffinerie verdi: la prima al mondo è italiana

La bioraffineria di Venezia, a Porto Marghera, è il primo esempio al mondo di riconversione di una raffineria convenzionale in bioraffineria. Qui si possono approvvigionare circa 360.000 tonnellate di oli vegetali all’anno, dei quali circa il 15% è olio alimentare usato e purificato.

Dal mese di giugno 2018 un impianto di trattamento consente anche di lavorare oli vegetali grezzi, non raffinati, e di incrementare la quota e la varietà di materie prime non edibili e di scarto, come le paste saponose (residui della deacidificazione chimica degli oli vegetali) o il Pome (Palm Oil Mill Effluent), un rifiuto rigenerato della lavorazione dell’olio di palma o ancora i grassi animali.

Dal 2021, grazie a un ulteriore upgrading dell’impianto, è previsto il potenziamento della capacità di lavorazione della bioraffineria di Venezia fino a 560.000 tonnellate di oli, con una sempre maggiore quota di materie prime che derivano da scarti della produzione alimentare.

La seconda in fase di avviamento

È, poi, in fase di avviamento la bioraffineria di Gela, che avrà una capacità di lavorazione di circa 750.000 tonnellate di oli vegetali all’anno e una produzione di circa 600.000 tonnellate all'anno di green diesel. Entro il 2019 verrà realizzato l’impianto “Biomass Treatment Unit” per il trattamento di oli vegetali grezzi e soprattutto di materie prime di seconda generazione composte da scarti della produzione alimentare, come gli oli esausti da cucina rigenerati e i grassi animali.

Progettata per trattare cariche advanced e unconventional fino al 100% della capacità di lavorazione, la bioraffineria di Gela sarà una delle poche bioraffinerie al mondo a elevata flessibilità operativa.

La caratteristica di processare materie prime di seconda generazione, cosiddette “unconventional”, derivanti da scarti della produzione alimentare, quali oli usati e di frittura rigenerati (Ruco, Regenerated Used Cooking Oil), grassi animali (tallow) e sottoprodotti legati alla lavorazione dell’olio di palma (Pfad, acidi grassi di palma distillato) fa di Gela un impianto innovativo a elevata sostenibilità ambientale, che consente di processare cariche che andrebbero a smaltimento, con aggravio dei costi per la comunità e impatto sull’ambiente, valorizzandole a biocarburante, nel rispetto dei requisiti dell’economia circolare.

Il green diesel prodotto a Porto Marghera, e a breve anche a Gela, costituisce il 15% del carburante premium Eni Diesel+, prodotto grazie alla tecnologia Ecofining™, che trasforma materie prime di origine biologica in biocarburanti di alta qualità. Un altro aspetto rilevante che ha accompagnato la riconversione in bioraffinerie è di tipo sociale. La raffinazione europea ha subito una pesante crisi strutturale: con la crisi finanziaria del 2008, l’Europa si è trovata a fronteggiare da un lato il calo della domanda interna e, dall’altro la crescente competizione dei produttori extra-UE, quali Cina e India, che producono a costi inferiori e senza sottostare alla regolamentazione ambientale europea sempre più stringente. Si sono così chiuse diverse raffinerie e anche Eni si è trovata a gestire la decisione presa in un primo momento di fermare Porto Marghera nel 2011. Ebbene, la svolta è stata quella di riconvertire una raffineria petrolifera convenzionale in bioraffineria. La stessa esperienza è stata applicata all’impianto di Gela, a conferma del fatto che gli investimenti in tecnologia portano sempre a risultati positivi.

A Gela si produce biocarburante dai rifiuti

Oltre alla realizzazione della bioraffineria, a Gela è stato avviato da Syndial, società ambientale di Eni, il primo impianto pilota per la produzione di bio-olio dalla trasformazione della frazione organica dei rifiuti solidi urbani (Forsu), un altro importante pilastro di una strategia improntata al modello integrato di economia circolare di Eni. L’impianto, in marcia dal dicembre del 2018, si avvale della tecnologia proprietaria Waste to Fuel, sperimentata nel Centro Ricerche Eni per le Energie Rinnovabili e l’Ambiente a Novara, tecnologia che permette di valorizzare i rifiuti trasformandoli in energia. L’impianto pilota di Gela ha una capacità produttiva di bio-olio stimata in circa 70 kg al giorno e viene alimentato con 700 kg al giorno di rifiuti organici. Le attività svolte dall’impianto di Gela permetteranno a Eni di acquisire le informazioni necessarie per la progettazione dei nuovi impianti su scala industriale.

Un impianto completamente digitalizzato

La trasformazione digitale in Eni è realtà da anni, ma ora sta vivendo un momento di grande accelerazione. A Viggiano in Val d’Agri, dove Eni gestisce il giacimento onshore più grande d’Europa dal quale viene circa il 40% della produzione italiana, si trova il Centro Olio Val d’Agri (Cova) il primo impianto completamente digitalizzato di Eni. La digitalizzazione è una leva fondamentale per migliorare i risultati, già molto buoni in Eni, in termini di salute, sicurezza e ambiente, efficienza produttiva, gestione e integrità degli asset.

La digitalizzazione, infatti, semplifica la gestione delle operazioni, aumenta la flessibilità e la rapidità nel prendere decisioni, la capacità di predizione degli eventi, la trasparenza e la tracciabilità delle operazioni. La prima fase della digitalizzazione dell’impianto è stata portata avanti da piccoli team composti da tecnici di sito, referenti operativi di sede, tecnici Ict e data scientist che hanno lavorato in “stanze”, ognuna focalizzata su temi specifici.

Il lavoro è proceduto per step intermedi e ravvicinati, chiamati sprint, che hanno consentito di raggiungere rapidamente l’obiettivo finale del primo rilascio dei sistemi digitali e dei modelli. La digitalizzazione del Cova ha portato alla creazione dello Ioc, Integrated Operation Center, un pannello di controllo che raggruppa e visualizza le informazioni relative ai processi più rilevanti e consente di accedere anche ai modelli predittivi. Con lo Ioc, quindi, si può: avere una vista real-time sui principali Kpi dell’asset aggregati in modo centralizzato; accedere alle informazioni chiave ed essere sempre allineati, anche con alert preventivi, sullo stato dei principali fenomeni relativi all’asset; accedere a tutte le informazioni chiave da un’unica dashboard.

L’implementazione delle soluzioni digitali è stata affiancata da un programma di change management, che rappresenta il necessario accompagnamento per le persone coinvolte dal processo di trasformazione digitale e che ha portato un notevole arricchimento delle competenze. In questo modo il Cova è diventato un modello di trasformazione digitale da esportato in tutti i siti Eni nazionali e internazionali.

Le bioraffinerie Eni, un esempio di Industria 4.0

Grazie alla produzione di biocarburanti, il comparto della raffinazione tradizionale sta attraversando un periodo di profonda trasformazione di prodotto e di processo: per questo motivo si può dire che le bioraffinerie di Eni siano un esempio di Industria 4.0. Lo sviluppo di nuove tecnologie proprietarie consente oggi a Eni di trasformare oli di origine rinnovabile e addirittura oli di scarto, fino a ieri considerati rifiuti pericolosi, in biocarburanti con caratteristiche qualitative migliori rispetto ai carburanti convenzionali di origine fossile.

Le tecnologie più utilizzate nelle bioraffinerie, principalmente in ambito di processo

A partire dal 2006, in collaborazione con l’americana Honeywell Uop, Eni ha sviluppato una tecnologia proprietaria per la produzione di biocarburanti (green nafta, green Gpl e green diesel) chiamata Ecofining. Questa nuova tecnologia è in grado, attraverso un processo di idrogenazione, di trasformare in biocarburanti oli vegetali, producendo come sottoprodotti acqua e anidride carbonica. Per di più, la tecnologia Ecofining consente il riutilizzo di impianti già esistenti e inseriti nel ciclo della raffinazione tradizionale. E, infatti, questo processo ha permesso a Eni di convertire in bioraffinerie due raffinerie convenzionali: nel 2014 è stata avviata la bioraffineria di Venezia, che ad oggi produce circa 300 kt/anno di biocarburanti, mentre la bioraffineria di Gela è in avviamento. Entro il 2021 Eni avrà una capacità di produzione di biocarburanti superiore a 1 milione di tonnellate all’anno.

Le tecnologie in corso di sviluppo

Già da tempo Eni ha maturato la decisione di puntare sull’utilizzo di materie prime di scarto quali materie prime per i suoi processi, applicando così i principi dell’economia circolare al suo modello industriale. Tra le applicazioni in fase avanzata di sviluppo, Eni sta lavorando a differenti tecnologie per la fissazione della CO2, presente in atmosfera, per trasformarla in prodotti a elevato valore aggiunto: ad esempio, da anni è in esercizio presso il sito di Ragusa un impianto sperimentale per la cattura di CO2 e la successiva produzione di alghe ricche in olio vegetale. Lo scorso dicembre 2018 è stato avviato a Gela il primo impianto proprietario, chiamato Waste To Fuel (W2F), per la produzione di biocarburanti a partire dalla frazione organica dei rifiuti solidi urbani. È stato anche messo a punto un processo per la valorizzazione di materie prime ligneo-cellulosiche di scarto, ad esempio la paglia, in oli vegetali attraverso processi enzimatici a basso impatto ambientale. Ancora, è in corso di sviluppo un innovativo processo per la produzione di biocomponenti per benzina a partire dagli scarti dei processi industriali per la produzione di biodiesel. Infine, è stata sviluppata una nuova formulazione di benzina, a elevato contenuto di metanolo che, grazie alla sua composizione e a innovativi processi di produzione a elevata efficienza (anche questi in fase avanzata di sviluppo), consentirà la riduzione delle emissioni di CO2 delle autovetture che ne faranno uso.

Oli esausti dei propri dipendenti: come trasformare i rifiuti in nuova risorsa energetica

Poco più di un anno fa, nella bioraffineria di Venezia, Eni ha avviato la prima raccolta di oli alimentari esausti prodotti nelle abitazioni dei propri dipendenti per trasformarli in biocarburanti di alta qualità, in una logica di economia circolare. Il progetto è partito grazie a una convenzione con la multiutility Veritas, che effettua raccolta, valorizzazione e trattamento dei rifiuti nel territorio veneziano.

Nella bioraffineria è installato un contenitore dedicato alla raccolta degli oli alimentari usati e di frittura; ai dipendenti è stata consegnata un’apposita tanichetta per facilitarne il conferimento. Oggi, l’olio viene restituito purificato da Veritas alla bioraffineria che lo trasforma in biocarburante Eni Diesel+, utilizzato dai vaporetti della città. Il progetto è stato progressivamente esteso ad altri siti Eni in Italia.

L’obiettivo è trasformare un rifiuto potenzialmente dannoso per l’ambiente in una nuova risorsa energetica. Secondo le stime, ogni famiglia italiana produce 3 litri all’anno di olio esausto da cottura, frittura o conservazione cibi, che se viene smaltito negli scarichi domestici, inquina le falde acquifere, rendendo non più potabili grandi quantità d’acqua, intasa scarichi e reti fognarie nelle abitazioni e, infine, riduce le prestazioni degli impianti di depurazione, producendo fino a 4 kg di fanghi per ogni singolo litro di olio trattato nelle acque reflue.

Dall’Umido al bio-olio in quattro mosse

Forsu è un acronimo per “Frazione Organica Rifiuti Solidi Urbani”, ovvero la materia che proviene dalla raccolta differenziata dell’umido: essenzialmente sono gli scarti e/o gli avanzi di cucina, dai residui di cibo ai tovaglioli sporchi. La Forsu è uno dei rifiuti trattati nel processo insieme ai fanghi degli impianti di depurazione, alle potature degli alberi, agli scarti dell’industria agroalimentare e della grande distribuzione.

I rifiuti solidi di origine organica sono chiamati umido perché hanno un elevato contenuto d’acqua, fino al 70%, che con la tecnologia Waste to Fuel viene totalmente recuperata. Attraverso la liquefazione, il contenuto energetico della biomassa di scarto iniziale viene concentrato quasi tutto nel bio-olio che a sua volta può essere convertito in biocarburante. Da una tonnellata di materia organica (che include il peso dell’acqua) si ottengono fino a 150 kg di bio-olio.

Sono quattro gli stadi del ciclo: dal pre-trattamento della carica iniziale si passa alla liquefazione (la conversione termochimica di una biomassa in presenza di una fase liquida). Successivamente i prodotti vengono separati e i sottoprodotti derivati vengono valorizzati. L’ultima fase consiste nella raffinazione del bio-olio ottenuto.

Tecnologie e dintorni per le Bioraffinerie - Ultima modifica: 2019-09-04T18:10:12+02:00 da