HomeCompetenze 4.0Soft skill: le competenze per apprendere nell’Infosfera

Soft skill: le competenze per apprendere nell’Infosfera

Otto competenze trasversali per governare il cambiamento continuo e apprendere nell’Infosfera, che comprende molteplici canali, fonti e contenuti di formazione e informazione sia fisici che digitali. L’apprendimento come moneta per il futuro dei lavoratori e delle aziende.

Leggi le riviste ⇢

Ti potrebbero interessare ⇢

Gaia Fiertler

Serve un nuovo alfabeto per orientarsi, comprendere e governare l’Infosfera, quell’ambiente fisico e digitale composto da una pluralità di fonti, canali e modalità di formazione e informazione dai confini sempre più labili. L’apprendimento è una leva strategica per compiere quella trasformazione culturale che accompagna le transizioni che stiamo vivendo, digitale, ambientale, energetica.

«L’apprendimento è la nuova moneta per assicurare un futuro alle persone», spiega Franco Amicucci, presidente di Skilla, società specializzata in soluzioni di micro-learning e autore di “Apprendere nell’Infosfera. Esperienzialità e nuove frontiere della conoscenza” (Franco Angeli 2021).

Nuove lenti per leggere la complessità

Stiamo vivendo una convergenza di cambiamenti epocali con una crescita esponenziale dello sviluppo tecnologico, che richiede nuove categorie di lettura e azione, perché i modelli, l’esperienza, la memoria e le competenze acquisite in passato non sono più adeguati. L’impatto di questi cambiamenti radicali avviene a più livelli organizzativi.

Cambiano le skill richieste, di molte delle quali ancora si ignora che forma prenderanno nei prossimi anni (obiettivi 2025 e 2030). Cambiano i luoghi e i modi di lavorare, che stiamo già forzatamente vivendo con la pandemia, che ha accelerato la remotizzazione del lavoro che prima si stava provando solo in via sperimentale e non massivamente. Impattano sui modelli di business e, più in generale, sul modo di interagire, apprendere e sviluppare socialità, senso, identità e appartenenza all’interno nelle organizzazioni.

Così, per gestire questa complessità servono nuove abilità, approcci e atteggiamenti che vanno provati e allenati tanto quanto i saperi tecnici. La Divisione HR ha una grande responsabilità nell’allenare le cosiddette “soft skill” nelle proprie persone, ovvero competenze trasversali per essere proattivi in un mondo in continuo cambiamento e facilitare l’apprendimento nell’Infosfera. Gli stessi manager dovrebbero essere disposti a rivedere modelli e criteri che non funzionano più per portare a bordo i giovani e ingaggiare una forza lavoro che inizia a dare segni di insofferenza con una crescita preoccupante di dimissioni volontarie.

«L’ascolto attivo, non valutativo, è una competenza da esercitare tutti i giorni, oltre gli schemi che tendiamo a replicare, come pure l’atteggiamento di apprendimento continuo dopo una riunione, un conflitto, un feedback ricevuto. Cosa imparo da questa esperienza? Le occasioni di apprendimento sono ovunque, in ogni momento della giornata lavorativa. Servono consapevolezza e un cambio di passo culturale», afferma Matilde Marandola, presidente Aidp, in occasione dell’incontro organizzato con Asfor “Apprendere nell’Infosfera. Formazione manageriale e direzione HR tra tradizione e innovazione”. 

Come integrare formazione formale, non formale e informale

Oggi serve creare consapevolezza e rendere complementari formazione formale (quella certificata, spesso obbligatoria), formazione non formale (non certificata, ma fonte di apprendimento, spesso frutto di un approccio intenzionale da parte delle persone) e formazione informale, quella esperienziale e accidentale della vita quotidiana, dal lavoro al tempo libero. E poiché oggi si è sempre più connessi o, addirittura, sempre connessi (“always on”), rientra in questa categoria tutto l’apprendimento social, in quanto in costante relazione con molteplici fonti di informazione, persone, personaggi e autori di riferimento, in una sempre maggiore ibridazione tra formazione e informazione.

Franco Amicucci

«È cruciale apprendere abilità e comportamenti nuovi, ossia competenze utili ai compiti e alle attività non solo attuali, ma anche futuri. Richiede tempo, cultura e metodo passare da un apprendimento passivo in aula o e-learning, a un apprendimento attivo, con una pluralità di fonti, format, contenuti, modello per lo più autoregolato, in ogni momento della vita organizzativa e delle proprie navigazioni informali sui social, in una logica di “lifelong learning”, o formazione continua. Anche la formazione diventa liquida, adattabile a spazi e tempi delle persone e dell’organizzazione. Ma per farlo serve prima di tutto sviluppare un mindset di crescita e digitale come approccio alla complessità, includendo la propensione all’acquisizione dinamica di conoscenze, abilità e atteggiamenti», precisa Amicucci.

Come evitare allora l’overload, ossia la sovrabbondanza di informazioni sui social e sulle piattaforme di e-learning delle aziende, dove si moltiplicano i moduli e le proposte formative? «Serve una intelligenza sintetica, che aiuti a discernere e a tracciare percorsi, guidati dal senso che si vuole dare alle cose», aggiunge Amicucci.

Senso e direzione, dunque, dovrebbero guidare anche la formazione liquida. «Serve una regia dietro il nuovo modo di fare formazione, con la consapevolezza del senso che si vuole dare all’apprendimento. La tecnologia serve e dobbiamo saperla usare, ma non accettiamo tutti questi strumenti senza la consapevolezza dei fini, degli scopi del loro uso, privilegiando solo l’efficienza. Oggi, una proliferazione di strumenti e contenuti senza un senso sottostante, una progettualità e un’architettura didattica, rischia solo di replicare la complessità della vita, senza aiutarci a comprenderla. Il senso guida anche la propensione e la motivazione all’apprendimento. Anche nei corsi professionali, non sono le tecniche, le procedure e i materiali a stimolare l’impegno, ma il perché le cose vadano fatte in un certo modo. È lo scopo che qualifica l’agire, ce l’ha insegnato Aristotele», sottolinea Marco Vergeat, presidente di Asfor.

Le 8 competenze trasversali (soft skill)

Le otto competenze trasversali sono il frutto di un’analisi comparata degli studi del World Economic Forum, della Commissione Europea, dell’Unesco e dell’OECD. «L’obiettivo è riuscire ad allenarle ed esercitarle in modo sinergico tra loro. Integrandole, infatti, si rinforzano a vicenda e migliorano la nostra qualità di vita in un mondo complesso e incerto», spiega Amicucci.

1. Collaborative problem solving

In un mondo iperconnesso e globalizzato, collaborare è una skill di importanza crescente, per esempio per risolvere un problema ragionando insieme e condividendo informazioni, esperienze e potenziali soluzioni. Le piattaforme collaborative oggi abbattono i confini spaziali e temporali, grazie alla comunicazione sia sincrona che asincrona.

«Per sviluppare questa competenza, servono anche creatività, resilienza, iniziativa, intelligenza sociale e pensiero critico», precisa Amicucci. Come svilupparla? Qui entra in gioco il “cooperative learning”, metodologie didattiche che coinvolgono e valorizzano i diversi contributi e le differenti intelligenze, con il docente che diventa animatore, facilitatore e team coaching. I formati prevalenti sono l’active learning, il problem based learning e il metodo dei casi.

2. Learning to learn/continuing to learn

Data la velocità di evoluzione di teorie, metodologie e tecnologie, serve predisporsi a un atteggiamento di apprendimento continuo e di veloce passaggio dalla teoria alla pratica. Imparare ad apprendere e disapprendere per apprendere di nuovo, in base ai bisogni e ai contesti di utilizzo reali nel tempo, è un comportamento che viene stimolato dalla curiosità.

Come aiutare quindi lo sviluppo di questa competenza? Oltre a un’autoconsapevolezza di quanto si stia facendo e attivando, aiutano ambienti di lavoro stimolanti e piacevoli, percorsi di apprendimento trasversali, gruppi di lavoro interfunzionali su progetti specifici e l’uso di strumenti didattici creativi, come giochi (gamification) e simulazioni che stimolano la curiosità. 

3. Digital competence and mindset

Competenza digitale e mindset digitale si esprimono quando al sapere tecnico-operativo si associno altre soft skill, come problem solving, pensiero critico, creatività, comunicazione e collaborazione e, integrate, si mettano al servizio della strategia aziendale. Serve quindi lo sviluppo di una strategia digitale allineata agli obiettivi aziendali e una Roadmap operativa per perseguire la maturità digitale di tutta l’organizzazione, nonché introdurre strumenti e ambienti anche digitali per l’apprendimento e la formazione stessa (e-learning, piattaforme, community online).

4. Iniziative and indipendent thinking

Una solida capacità di iniziativa personale e un pensiero critico indipendente consentono di orientarsi, incanalare e ottimizzare la curiosità e la ricerca, gestendo in modo proattivo e consapevole l’ambiguità e la pluralità di informazioni disponibili nell’Infosfera. La capacità di dare senso e adattare il pensiero sono riconosciute tra le competenze che le macchine e l’intelligenza artificiale non possiedono.

5. Resilience

La resilienza a livello organizzativo è la capacità di mantenere un atteggiamento positivo, adattivo ed efficiente anche in situazioni di recesso, stallo o fallimento, mentre a livello individuale è la capacità di percepire e affrontare i problemi non come ostacoli, ma come sfide e opportunità da cui far emergere idee, possibilità, apprendimento e sviluppo. Lavora bene quando è integrata ad altre soft skill, come l’iniziativa, il problem solving e l’adattabilità. 

6. Adaptability

Sapersi adattare al cambiamento con flessibilità e versatilità e saperlo gestire, leggendolo, contestualizzandolo e comunicandolo, è ormai vitale per le organizzazioni.  Si iniziano a introdurre iniziative “agile” sia nella formazione con gruppi interfunzionali che lavorano a progetti comuni, sia con team trasversali che si formano e si sciolgono all’occorrenza e con strutture gestionali dinamiche per adattarsi al cambiamento. Servono intelligenza sintetica e flessibilità cognitiva per vivere in sistemi complessi, passando dalla cultura della staticità e del dominio disciplinare di una singola materiale all’evoluzione continua e interdisciplinare.

7. Cultural awareness and expression

Proprio nella logica di interconnessione, trasversalità e multidisciplinarietà dei progetti di lavoro, anche con team sempre più spesso dislocati geograficamente, nonché gruppi intergenerazionali che lavorano insieme, bisogna sviluppare la soft skill della consapevolezza, ascolto, apertura e curiosità verso le differenti culture (tecniche, etniche, religiose, generazionali) e cogliere l’arricchimento che può arrivare dalla diversità e dall’inclusione. Richiede l’attivazione del learning to learn.

8. Future literacy

Questa competenza esprime la capacità di immaginare il futuro, con uno spirito di osservazione per comprendere le proiezioni e le traiettorie del futuro, su cui fare leva per non limitarsi a subirlo, ma provare a indirizzarlo favorendo cambiamenti e sviluppi e avvantaggiarsene. Implica sfruttare al meglio le possibilità che si aprono e non avere paura di tratteggiare e immaginare ciò che ancora non si conosce. I leader dovrebbero essere capaci di traghettare le organizzazioni verso mondi futuri.

Soft skill: le competenze per apprendere nell’Infosfera - Ultima modifica: 2022-02-14T12:20:49+01:00 da Gaia Fiertler