Digitalizzare le infrastrutture è una delle priorità strategiche per la ripartenza indicate da Deloitte nel suo Recovery Playbook. Già a gennaio la società di consulenza aveva lanciato il programma Impact for Italy, ora orientato a come costruire la New Normal post Covid. Ma per digitalizzare servono anche le competenze Stem correlate, che in Italia scarseggiano. L’Osservatorio Deloitte ha evidenziato le criticità del sistema scolastico e accademico e nel passaggio al contesto professionale, insieme ai pregiudizi dei giovani sulle materie Stem, per tracciare linee chiare di indirizzo e di concreta progettualità.
Le sei priorità strategiche per uscire più forti dalla crisi scatenata dal Covid-19 sono, per Deloitte, risanare il fatturato, aumentare i margini operativi, ottimizzare asset, passività e liquidità, accelerare la digitalizzazione, aggiornare l’organizzazione del lavoro e gestire le aspettative degli stakeholder.
Oltre a essere uno dei punti chiave della ripartenza, la trasformazione digitale è trasversale ad almeno altre tre linee strategiche, in termini di modelli e di strumenti. Dalla relazione con i clienti e i canali di distribuzione per aumentare i fatturati, alla produzione e alla logistica, fino all’organizzazione e agli ambienti di lavoro diffusi e centralizzati, con le dotazioni tecnologiche e digitali correlate.
Ma tutto questo richiede progettisti, designer, esperti digitali e competenze di area Stem (Science, Technology, Engineering, Maths), che devono diventare comuni nelle organizzazioni e che, invece, sono ancora difficili da reperire sul mercato e fuori dalle università.
In Italia solo uno studente universitario su 4 è iscritto a facoltà Stem (27%), senza incrementi significativi negli anni. Inoltre, di questi solo 1 su 10 è iscritto alle facoltà che rispondono compiutamente alle esigenze professionali emergenti.
Allo stato attuale le figure professionali più ricercate e difficili da reperire, per almeno un’azienda su quattro, sono ingegneri meccanici, ingegneri dell’automazione e ingegneri dell’informazione.
Deloitte ha realizzato una indagine, in collaborazione con SWG e con il contributo di Monitor Deloitte, intervistando studenti, docenti, neoassunti e aziende e ha evidenziato alcuni disallineamenti tra percezione delle materie Stem e ruoli e competenze corrispondenti, proponendo delle linee guida per il loro superamento. Linee guida che richiedono a tutti soggetti coinvolti un’assunzione di responsabilità: alla scuola con i suoi modelli didattici e le sue infrastrutture tecnologiche insufficienti e alle imprese che contribuiscono con un impegno ancora parziale nel favorire il traghettamento dalla scuola al mondo del lavoro.
I ritardi di scuola e impresa nella formazione STEM
Sul fronte delle responsabilità scolastiche, per esempio, uno su tre i docenti di materie Stem lamenta di non avere abbastanza ore per dedicarsi alle competenze pratiche, cioè per mettere in pratica la teoria, mentre ben due su tre i professori lamentano di non avere dotazioni tecnologiche aggiornate, che sono quindi inutilizzabili sia per preparare bene i giovani al mondo del lavoro in così rapida trasformazione, sia per stimolare in loro l’interesse per le nuove tecnologie. A sua volta, uno studente su due di materie non stem non si sente coinvolto dai propri docenti nelle materie tecnico-scientifiche.
Sul fronte delle responsabilità aziendali (ma forse anche scolastiche), le collaborazioni tra scuola e mondo del lavoro sono valutate insufficienti dalla maggioranza degli studenti (64%) e dei docenti (61%).
Riguardo poi all’attività di orientamento che viene considerato un punto chiave per indirizzare le scelte dei giovani, questa è ancora poco efficace. Solo 1 su 6 gli studenti dicono di essere stati guidati dai centri di orientamento nella scelta dell’indirizzo scolastico, per tutti gli altri incide ancora la famiglia. Ne deriverebbe una percezione distorta dell’effettiva offerta formativa e delle potenzialità della stessa. Quanto alle aziende, oltre la metà di quelle intervistate (55%) dichiara di non partecipare a servizi di orientamento per gli studenti.
«Le materie Stem sono il futuro. Saranno, infatti, le discipline tecniche e scientifiche a plasmare il mondo di domani. Le imprese lo sanno da anni, ma non i giovani italiani che, nella maggioranza dei casi, continuano a puntare su una formazione non scientifica. Per questo, come Fondazione, abbiamo deciso di dare vita a un Osservatorio e indagare le motivazioni delle scelte dei giovani. I risultati che emergono ci fanno capire che l’Italia ha tutto il potenziale per invertire il trend e porsi all’avanguardia del settore dell’istruzione e della ricerca anche in ambito Stem. Ma bisogna intervenire nei tre principali momenti della vita dello studente: l’orientamento, gli anni della formazione e l’ingresso del mondo del lavoro», commenta Paolo Gibello, Presidente Fondazione Deloitte.
Pregiudizi culturali da superare
In genere, chi si iscrive a scuole secondarie non di stampo scientifico pensa che siano più in linea con le proprie capacità. Poi, nel passaggio all’università, alla passione per le materie e alla coerenza con le proprie capacità si aggiunge anche il pregiudizio circa la possibilità di raggiungere la professione ambita. I giovani, infatti, associano al percorso Stem professioni poco ambite, come il professore sottopagato, lo scienziato premio Nobel (irraggiungibile) o l’informatico nerd.
Questi pregiudizi risultano più marcati tra le donne, che si sentono ancora più lontane per interesse (66% delle donne contro il 59% degli uomini) e per preparazione, cioè non si considerano preparate sulle materie scientifiche (24% donne contro il 16% degli uomini). Al contrario, aziende e professori non riscontrano alcun gap di genere nelle performance, mentre ben un giovane su tre occupato in ambito Stem ritiene che il proprio lavoro sia più adatto alle capacità maschili.
Come già evidenziato in altre ricerche, il pregiudizio di genere aleggia tra uomini e donne indistintamente, con il rischio di trascinarsi nelle relazioni professionali e nello sviluppo di carriera. Inoltre, nonostante esista un potenziale bacino di studenti interessati alle materie tecnico-scientifiche, una percentuale rilevante ha cambiato rotta nel momento decisivo di iscrizione: 2 studenti non Stem su 5 e 1 giovane occupato su 3 hanno infatti dichiarato di avere avuto un interesse verso le discipline Stem, senza averlo però concretizzato.
Questo è un vero e proprio paradosso se si considera che, nel 2019, il tasso di occupazione della popolazione laureata ha raggiunto il livello più alto proprio nell’area medico-sanitaria e farmaceutica (86,8%) e nelle funzioni con lauree Stem (83,6%).
Le quattro linee guida di Deloitte
In conclusione, Fondazione Deloitte ha identificato quattro leve per coinvolgere maggiormente i giovani e incoraggiare la scelta di percorsi Stem:
- Favorire la pratica durante le ore di didattica.
- Rafforzare i momenti di incontro con le aziende.
- Eliminare le distorsioni percettive sui percorsi Stem.
- Contaminare i programmi Stem e non Stem, spostandosi verso le cosiddette “Digital Humanites”.
Italia sotto la media europea per formazione scolastica
Secondo i dati Istat, nel 2019 la quota di popolazione che possiede almeno un titolo di studio secondario superiore è pari a 62,2%: un valore decisamente inferiore a quello medio europeo (78,7% nell’UE a 28).Così pure la popolazione laureata arriva al 19,6%, contro un valore medio europeo del 33,2% (un terzo della popolazione). Per quanto riguarda i laureati Stem, nel 2019 essi rappresentano appena il 24,6% dei laureati (25-34enni) e il divario di genere rimane molto forte: il 37,3% degli uomini ha una laurea Stem contro il 16,2% delle donne.
«Gli ultimi dati di Istat su istruzione e occupazione sono un campanello d’allarme: un Paese con tassi d’istruzione così bassi è un Paese che non cresce e non innova. Dobbiamo invertire questo trend, cogliere al volo le opportunità che il Next Generation Plan della Commissione Europea ci offre e usare i fondi del Recovery Plan anche per investire in formazione, con particolare attenzione a quella Stem. Le partite strategiche dei prossimi anni passano proprio dalla capacità di imprese e Stati di innovare: se perdiamo questo treno, perdiamo un’occasione storica», conclude Fabio Pompei, Ceo di Deloitte Italia.