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Recovery Fund: la grande partita degli ITS

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Gaia Fiertler

È in gioco una grande partita per il futuro degli ITS, gli istituti tecnici superiori professionalizzanti, quelli che funzionano grazie al modello integrato tra impresa e istituzione scolastica. Approvato in questi giorni alla Camera dei Deputati un emendamento congiunto a firma di tutti i capigruppo, che prevede 20 milioni di euro in più per il 2021 ma, soprattutto, è in discussione alla Commissione Cultura una nuova legge per far diventare gli ITS più pervasivi nei numeri e nell’offerta ed essere pronti al Recovery Fund, con oltre 2 miliardi di euro previsti.

Parlano i numeri del successo di un sistema che, da una decina di anni, rappresenta la via italiana alla formazione terziaria di stampo tedesco. Sono gli ITS, gli istituti biennali post diploma dove aziende innovative e istruzione vanno a braccetto, senza tensioni né resistenze, e collaborano e co-progettano percorsi di studio dove si mette in pratica la teoria.

Forse proprio per l’efficacia degli ITS, c’è un’ampia concordanza politica sulla urgenza e necessità di riformarli non per snaturarli, ma per renderli più pervasivi numericamente e come orientamento all’innovazione tecnologica. Sono una scommessa vinta che potrebbe aiutare, in scala, a superare il gap di competenze tecnico-digitali di cui soffre il nostro tessuto produttivo, che ci pone ancora quartultimi in Europa, benché siamo la seconda potenza manifatturiera (Indice Desi 2020). Onore alla nostra grande capacità imprenditoriale, ma il mondo sta cambiando in fretta e, per ragioni di efficienza e competitività, chi non innova è destinato a uscire dal mercato.

In questo contesto di profonda trasformazione dei modelli produttivi e distributivi in chiave digitale, proprio la carenza di capitale umano adeguato è la prima difficoltà nell’adozione dei parametri dell’Industria 4.0 da parte dei nostri imprenditori. Ma i tecnici formati nei bienni degli ITS danno speranza al nostro Paese: uno su due i corsi promulgati si occupano già di Industria 4.0 trasversalmente, dall’ICT alla meccatronica applicate alla meccanica di precisione, all’aerospazio, all’industria ferroviaria e automotive, fino all’industria chimica, biotecnologica e al turismo.

Il placement dei diplomati dei circa 17mila iscritti è dell’83%, superiore alla media di occupazione sia degli istituti tecnici, sia delle università e, per ben il 92% di loro, il posto di lavoro è coerente con il percorso di specializzazione seguito. I super tecnici preparati agli ITS spesso sono già “prenotati” dalle aziende prima ancora di finire il corso, ma non sono in numero sufficiente per soddisfare la domanda di competenze che, in Italia, è fino a 30 volte superiore rispetto ai diplomati annui ITS.

Da una recente indagine sulla meccanica e meccatronica condotta da Bi-Rex e Intesa Sanpaolo, per esempio, risulta che gli ITS in Emilia Romagna siano la terza fonte di recruiting sia per le medie e grandi imprese (in particolare ne fa ricorso una su tre, dopo le agenzie per il lavoro e i sistemi informali), sia per le piccole e, in questo caso, ne fa ricorso una su quattro, sempre dopo i primi due canali.

Un modello che funziona, ma da scalare

Il modello funziona: le stesse industrie sono coinvolte fin dall’inizio nella progettazione dei programmi didattici che sono “curvabili” secondo le loro esigenze, senza tuttavia perdere l’aspetto didattico, ma certo sono fortemente esperienziali, svolti in laboratorio e sulle linee produttive, con una quota sempre più alta di personale docente che arriva dall’industria stessa. La percentuale è arrivata al 73%, il che vuol dire che oltre due su tre i docenti degli ITS sono ingegneri, informatici, tecnici e ricercatori delle imprese partner degli ITS, che contribuiscono con docenza, apparecchiature e strumentazione.

Alessandro Mele

«Ora non si vuole snaturare la logica, né la struttura fondante di questo percorso di formazione di specializzazione, che progetta ed eroga con flessibilità i corsi in base ai bisogni dell’industria. Quello che chiediamo è un riconoscimento all’interno del sistema formativo ministeriale e una visibilità con sedi didattiche e laboratori che valorizzino la natura di centri di competenza che favoriranno sì la transizione scuola-lavoro, ma anche la formazione continua dei dipendenti e progetti di ricerca applicata come nelle migliori esperienze internazionali. Disponendo di un nucleo solido di alte competenze, potremo infatti impiegarle anche nel trasferimento tecnologico, come già avviene nell’ITS meccatronico di Perugia e nei due ITS di Information Technology di Foggia e Torino», spiega Alessandro Mele, presidente della Rete Fondazioni ITS Italia.

Questo ambizioso progetto per il futuro degli ITS a supporto dell’innovazione del Paese sarà possibile anche grazie agli oltre 2 miliardi di euro del Recovery Fund che il Ministero dell’Istruzione e il Mise hanno promesso congiuntamente di destinare allo sviluppo degli ITS.

«Una scommessa vinta, che ora ha bisogno di crescere nei numeri: più studenti, più corsi, non più Fondazioni, sempre mirati sui bisogni di innovazione del tessuto economico italiano; più certezza nei fondi disponibili, non più per bando di anno in anno ma, sempre sfruttando il Fondo sociale europeo, inserendoli in un sistema istituzionale stabile che valorizzi il merito. Infine, rendere il sistema più riconoscibile agli occhi delle famiglie con veri e propri campus tecnologici per l’apprendimento», aggiunge Mele.

In ultimo, ma non da ultimo, si evidenzia la necessità di integrarsi bene con le cosiddette “lauree professionalizzanti” che il governo vorrebbe incentivare. La preoccupazione è che non si cannibalizzino gli ITS che, per la loro natura applicativa, difficilmente saranno sostituibili dalle suddette lauree.

Tuttavia, potrebbero essere trascurati dalle famiglie per il valore immaginifico che la laurea ancora esercita in Italia, anche se il Paese ha bisogno di tecnici specializzati oltre che di ingegneri. Tra l’altro, i tecnici che si diplomano all’ITS hanno una impiegabilità altissima, perché sono formati per rispondere alle esigenze tecniche e tecnologiche dell’industria.

L’iter per vincere la partita

È in corso l’iter istituzionale per vincere la partita. Intanto, in questi giorni, è stato approvato un emendamento alla Legge di bilancio, a firma di tutti i capigruppo, con cui si stanziano 20 milioni di euro in più per gli ITS nel 2021, che si aggiungono ai 50 milioni di euro già previsti. «È un gran bel segnale della collaborazione e dell’interesse convergente sugli ITS, come strumento per risolvere almeno in parte il gap di competenze tecniche e digitali di cui soffre l’Italia», commenta Mele.

Nel frattempo, è in discussione alla Commissione Cultura, con l’intervento anche della Commissione Lavoro, la riforma della legge sugli ITS perché, dopo dieci anni di sperimentazione vincente, si stabilizzi il sistema nel quadro nazionale di istruzione.

«La legge dovrebbe vedere la luce nel 2021, con tutte le caratteristiche necessarie perché non si sprechi la grande occasione per la formazione terziaria che ci daranno i fondi del Recovery Fund», conclude Mele.

 

Recovery Fund: la grande partita degli ITS - Ultima modifica: 2020-12-23T10:43:41+01:00 da Gaia Fiertler