La formazione è l’attività HR che le aziende potrebbero essere più interessate a portare nel Metaverso. Il suo aspetto immersivo, infatti, da un lato favorisce la ripetizione di gesti e movimenti, in sicurezza e senza limiti di tempo e, dall’altro, crea un’aula virtuale che favorisce concentrazione e interazione a distanza, come se si fosse nella stessa aula con colleghi e docenti (66%).
Segue poi la possibilità di far collaborare di più - e far sentire meno isolati - i colleghi in Smart Working, accorciando virtualmente le distanze (48%). È interessante notare che la collaborazione all’interno, attraverso il nuovo spazio virtuale e le nuove modalità di interazione, sia al primo posto in assoluto tra le iniziative in cantiere su cui le aziende stanno investendo, anche rispetto alle iniziative rivolte ai clienti all’esterno. Il 15% vi ha già investito, il 9% lo farà entro l’anno, il 30% entro tre anni.
A seguire, il Metaverso potrebbe diventare lo spazio-modalità per un recruiting innovativo con colloqui tra avatar (48%) e potrebbe favorire la comunicazione aziendale (45%), la creazione di community e team building (43%), l’innovazione di prodotto (43%) e il processo di onboarding (40%), ossia l’inserimento dei neoassunti, per esempio l’avatar del Buddy che introduce alle procedure aziendali o con visite “realistiche” nei vari stabilimenti aziendali.
Per l’intrattenimento dei dipendenti lo immagina il 23% e per la prototipazione virtuale il 18%. Ad oggi, però, il Metaverso è ancora una eccezione in azienda, con percentuali bassissime di adozione o previsione di adozione: 12% nella comunicazione aziendale, 9% nell’interazione/collaborazione tra colleghi, 8% sia nella formazione sia nell’onboarding fino a un residuale 3% nel recruiting innovativo.
Il principale interesse è verso i clienti, ma con investimenti ancora ridotti
Gli investimenti principali ora, ancora molto limitati, sono rivolti soprattutto alle iniziative con impatto sul cliente: promozione del brand (15%), con un’azienda su due particolarmente interessata; contenuti virtuali con cui far interagire i clienti (11%), con il 55% interessato e, a scendere, community per i clienti 8% (uno su due interessato); advertising (8%) e vendita con esperienza di acquisto evoluta (6%).
È quanto emerge dalla ricerca “Il futuro del Web3 e del Metaverso”, realizzata su 143 aziende di dimensioni diverse da The Innovation Group e Web3 Alliance, il consorzio nato per fare chiarezza e diffondere la conoscenza della nuova generazione di Internet, il Web 3.0, il Metaverso e le loro possibili applicazioni aziendali.
L’associazione riunisce realtà già attive e impegnate in progetti di realtà virtuale, aumentata, Intelligenza artificiale e Metaverso, tra cui il Gruppo Jakala, Anothereality e Castadiva Group. La maggioranza delle imprese italiane mostra interesse per il Web 3.0 (il 75% che sale all’80% con le medie e grandi imprese), che comprende tecnologie come Augmented Reality (AR), Virtual Reality (VR), Non Fungible Tokens (NFT), Blockchain, Intelligenza Artificiale, Metaverso.
Tuttavia, solo il 4% fa seguire all’interesse un’azione concreta, mentre il 64% è ancora in fase di studio del fenomeno, delle tecnologie e delle possibili applicazioni con relativo impatto sul business. Solo il 7% ha in corso un progetto pilota, il 3% ne fa un ampio uso, un 1% in modo selettivo, mentre il 25% non è interessato.
La metà ne ha una conoscenza limitata, mentre il 30% sostiene di aver capito di cosa si stia parlando. In ogni caso siamo agli inizi di una nuova rivoluzione nel modo di comunicare e interagire con i mercati e, all’interno, di collaborare e lavorare, con la nuova Wave di Internet, il Web 3.0. Non è ancora chiaro che forma prenderà, se avrà più forme e fin dove potrà spingersi come virtualità interconnessa nello spazio del Metaverso.
«Ricordo lo scetticismo nei confronti di Internet a metà degli anni ’90, quando sembrava impensabile che non si sarebbero stampati più i giornali. Poi c’è stata la seconda ondata, quella dei social media e ora la terza, che sarà molto veloce. Da qualche parte bisogna partire: è una filiera orizzontale molto ampia, ma le aziende devono iniziare a sperimentare le nuove tecnologie e a verificarne gli impatti sulla propria azienda», suggerisce Elena Schiaffino, presidente Web3 Alliance e cofounder di Engitel.
Gli investimenti nel Metaverso hanno riguardato meno del 5% del budget per marketing e comunicazione per il 32% delle aziende, tra il 5-10% per il 6% delle imprese e tra 10-20% solo per l’1%. I budget per il 2023 sembrano un po’ più generosi, ma sempre con cautela: meno del 5% per il 22% del campione, tra il 5-10% per il 26% e tra il 10-20% solo il 6%.
Le iniziative che si stanno mettendo in cantiere riguardano soprattutto la collaborazione tra colleghi e Smart Working (15%), eventi digitali (l’11% ha già investito, il 15% investe entro quest’anno, il 36% entro tre anni), il posizionamento del brand (il 9% ha già investito, il 20% lo prevede entro quest’anno, il 32% entro tre anni), la creazione di prodotti digitali ad hoc (il 9% ha già investito, il 12% lo fa entro l’anno, il 29% entro tre anni), NFTs (l’8% ha già investito, il 11% entro l’anno, il 23% entro 3 anni), la creazione di un mondo virtuale (il 6% ha già investito, il 9% entro l’anno, il 21% entro tre anni).
Che cosa spinge e che cosa frena a investire nel Metaverso
Ciò che ha spinto o potrebbe spingere a interessarsi al Metaverso è la brand awareness (45%), il lancio di nuovi prodotti e servizi (40%), la consapevolezza che il Metaverso sia il futuro (37%), l’allargamento della clientela (34%), la partecipazione come first mover (33%), la migliore interazione tra le persone (25%), l’accesso a informazioni/dati dei clienti (19%).
«Il Metaverso è uno, la mancanza di interoperabilità tra sistemi ne limita lo sviluppo. Questo è un limite tecnologico da risolvere. L’altro grande dubbio è su chi creerà i contenuti, perché la forza dello sviluppo dei social media è stata l’interazione diretta con creazione di contenuti da parte degli utenti, ma come funzionerà nel Metaverso? Tra l’altro le aziende non hanno come focus la creazione di contenuti», commenta a margine della ricerca Lucio Lamberti, professore di Marketing Analytics and Omnichannel Marketing Management and Analytics for Business Lab del Politecnico di Milano e direttore scientifico del Metaverse Marketing Lab del Polimi.
Sulla possibilità di creare valore per il business, per oltre una su due il Metaverso consentirà di entrare in nuovi mercati e sarà una modalità di creare un’esperienza diversa per i clienti, per il 45% una strada per rispecchiare la socialità delle persone e per il 42% un’occasione per partecipare a ecosistemi innovativi. In percentuali minori potrà essere un fattore di differenziazione competitiva (35%), farà risparmiare su tempi e costi (31%) e favorirà la transizione ecologica (26%).
Tra i freni a investire nel Metaverso, invece, al primo posto si pone l’immaturità del settore e il timore che si tratti solo di una moda passeggera (33%), quindi la difficoltà a sviluppare contenuti (30%), l’attuale incertezza normativa (27%) e costi e resistenze interne, sempre per il 27%.
Inoltre, nei confronti degli utenti si teme un scarso utilizzo del nuovo canale per esperienza insoddisfacente a causa di tecnologia non matura (54%), problemi legati alla privacy (44%), mancanza di uno standard unico e quindi mancanza di interoperabilità tra ambienti diversi con il medesimo avatar (43%) e la diffusa mancanza di competenze digitali (43%).
Che cosa serve per accedere al Metaverso: competenze prima di tutto
La maggior parte delle aziende si vedono attive nel Metaverso entro 3 anni, ma a patto di dotarsi di persone e competenze specifiche (78%); di trovare partner esterni specializzati (54%), di fare investimenti in tecnologie avanzate (54%), di fare co-innovazione (40%), di individuare i kpi da monitorare (37%), di studiare gli user case più adatti (29%) e di tener conto dei rischi (21%).
In particolare, le skill indicate come indispensabili e prioritarie sono la creazione di contenuti (76%), l’experience design (64%), la cybersecurity (54%), la virtual advertising (54%), legal, risk and compliance (51%). «Le aziende devono lavorare su un nuovo skill set e decidere se svilupparlo all’interno o all’esterno, ma dovranno farlo perché i bambini di oggi saranno i consumatori di domani e si aspetteranno di interagire come già sono abituati sulle piattaforme di gioco. Gucci, per esempio, ha già creato un team interno di specialisti, presi anche dall’industria dei videogame. Stiamo vedendo un interesse crescente nell’Education e nella prototipazione virtuale», commenta a margine della ricerca Alessandro Maggio, Managing Director Marketing, Metaverse Practice Leader Jakala.
Alla fine, il B2B potrebbe essere un buon terreno di sperimentazione per il Metaverso: «Il B2B è mosso da altre logiche rispetto alle Digital PR verso il mercato. Già nel 2015 ci veniva richiesto training virtuale per manutentori di impianti elettrici e ora c’è richiesta di avatar per guidare l’onboarding e addirittura avatar di algoritmi, che rendano più “human” le risposte delle macchine con una interazione vocale», conclude Andrea De Micheli, Vp Web2 Alliance e Ceo e Chairman di Castadiva Group.
Un approfondimento sull’utilizzo delle nuove tecnologie in ambito HR, compreso il Metaverso, e l’evoluzione di chatbot e voicebot intelligenti sotto forma di avatar sarà pubblicato sul numero di novembre di Industrie 4.0 nella sezione Digital Mindset.