Il sistema produttivo italiano è spesso accusato di essere poco propenso a investire nella propria innovazione tecnologica. Una convinzione che, però, è stata smentita da una recente analisi del Centro Studi di Confindustria. Sulla base della ricerca, il manifatturiero nazionale vanta una delle più alte propensioni al mondo in termini di investimenti tecnologici. Il tasso rivelato è infatti pari al 22,8%, contro il 21,1% giapponese, il 19,2 % americano, il 13,2% tedesco e il 12,5% francese.
Da un'analisi più approfondita emerge, inoltre, la necessità di valutare con maggiore attenzione i bassi livelli di spesa in R&S conteggiati dalle nostre aziende. Il valore, infatti, risulta pari all’1% del fatturato manifatturiero, un valore decisamente inferiore rispetto al 3,2% della Germania e al 2,8% della Francia. Secondo Confindustria, però, questi valori sono parzialmente sottostimati rispetto al dato reale, per la loro mancata contabilizzazione e sono penalizzati dalla inconsistenza, per troppi anni, della politica industriale. E lo dimostra il fatto, secondo quanto sottolineano i ricercatori di Confindustria, che nel 2012 il 46% delle aziende italiane ha innovato prodotti o processi, rispetto al 63% di quelle tedesche, il 43% delle francesi e il 39% delle britanniche.
Per far leva su queste elevate propensioni e capacità occorrono politiche adeguate di sostegno agli investimenti e alla R&S, analoghe a quelle adottate negli altri maggiori Paesi avanzati.