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Intelligenza artificiale a impatto zero sul business

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Gaia Fiertler

Impatto ancora scarso dell’intelligenza artificiale sul business, sia in termini di sviluppo che di riduzione dei costi. Eppure, le aziende pioniere hanno molto da insegnare. Sono quelle che hanno già integrato la strategia dell’Artificial Intelligence in quella di business, che puntano più sulla crescita che non sul cost-saving e investono in progetti di medio-lungo termine.

A margine delle sei linee d’azione di queste imprese pioniere, anche i cinque pilastri di BCG - Boston Consulting Group - per competere su mercati dove la maggiore capitalizzazione è in mano a chi del business digitale ha fatto il proprio core business.

Sono una su cinque le aziende pioniere nell’indagine di BCG e MITSloan Management Review "Winning with AI: pioneers combine strategy, organizational behaviour and technology" presentata a Milano da Martin Reeves, direttore generale del think tank BCG Henderson Institute.

Queste aziende hanno una marcia in più rispetto alle altre perché hanno già applicato l’intelligenza artificiale in modo sistemico al business; perché guardano più alla crescita che non alla riduzione dei costi e sono quindi più ottimiste sull’impatto che avrà nei prossimi cinque anni, con una visione meno conservativa delle altre e assumendosi il rischio di investire in progetti strutturati a medio-lungo termine.

D’altronde, chi ha una strategia solo "cost-centric" ha una miopia di fondo, mentre chi assume una strategia "revenue-centric", proprio come le pioniere, è più disposto a puntare su ulteriori sviluppi di crescita (82% versus 29%) e, di conseguenza, a investire in talenti, tecnologie, analisi dei dati e processi.

Proprio dai pionieri dell’Artificial Intelligence (AI) sono individuabili sei linee d’azione che, per BCG, possono fare da guida alle altre aziende per non perdere terreno sui mercati e introdurre efficacemente l’AI.

Non dimentichiamo che in dieci anni i primi posti delle aziende più capitalizzate sono stati occupati da realtà legate a business digitali: Microsoft, Apple, Amazon, Alphabet (la holding di Google) e Facebook, mentre nel 2009 ai primi posti c’erano PetroChina, Exxon Mobil, Microsoft, Icbc China e Bho Billiton.

Eppure, tolto il 20% delle pioniere che hanno capito come funziona l’AI e l’hanno adottata in modo sistematico in più aree aziendali e in modo congruente alla strategia di business, ben il 32% a livello globale non ha ancora introdotto strumenti di intelligenza artificiale.

Un altro 30% è “investigatore”, cioè ne conosce le applicazioni possibili, ma non è ancora andato oltre la fase pilota e il 18% è “sperimentatore”, ha cioè in corso un progetto pilota ma non ne ha ancora compreso bene il senso e i vantaggi.

È quanto emerge dalla ricerca condotta da BCG - Henderson Institute con MITSloan Management Review “Winning with AI”, su un campione di 2.555 lavoratori in 97 Paesi con una trentina di industrie rappresentate, più 16 interviste a executive di 7 Paesi diversi di 11 diverse industrie.

L’adozione di queste nuove tecnologie (machine learning, Internet of things, analytics, cobot) è sempre più percepita come fonte di rischio e opportunità insieme, per l’incertezza dei risultati dei nuovi modelli di business.

Dal 33% del 2017 è salita al 42% nel 2019 la percentuale di coloro che vi intravedono anche rischi e non solo opportunità, mentre diminuisce la percezione che porti solo sviluppo, passata dal 50 al 46%. Tra l’altro, oltre due su tre (68%) di chi ne ha adottato qualche forma in questi tre anni non ne ha ancora visto l’impatto sul business, né in termini di riduzione dei costi, né di aumento di ricavi.

Delle altre, il 18% ha registrato un aumento dei ricavi e il 14% una riduzione dei costi. Le attese sono comunque ottimistiche da qui a 5 anni: il 42% si aspetta una crescita, il 31% una riduzione dei costi e solo il 27% (versus il 68% di quest’anno) teme di non registrare alcun impatto.

Le sei linee guida delle aziende pioniere nell’AI secondo BCG e MITSloan

  1. Hanno integrato la strategia AI alla strategia di business.
  2. Danno la priorità alla crescita dei ricavi e non alla riduzione dei costi.
  3. Si prendono il rischio di progetti ampi dal grande impatto.
  4. Allineano la produzione di AI all’utilizzo della stessa nell’organizzazione.
  5. Considerano l’AI come la principale trasformazione di business.
  6. Investono nei talenti per l’AI, nella governance e nel processo di cambiamento.

Serve un approccio integrato alla trasformazione digitale e all’introduzione dell’intelligenza artificiale a supporto dell’analisi dei dati e della creazione di valore.

«È un circolo virtuoso: fai più business imparando dai dati e, potenziando le tecnologie, ottieni più informazioni a supporto delle decisioni, indirizzando il business in modo molto preciso e mirato. Questo vale anche per le vostre pmi che, tuttavia, devono rendersi attrattive verso i talenti digitali, con pacchetti retributivi e una governance adeguati al cambiamento richiesto per ottenere risultati nei prossimi dieci anni», ha commentato Martin Reeves.

I cinque pilastri di BCG-Henderson Institute per competere nei prossimi 10 anni

Strategia, organizzazione, change management, risorse umane e fiducia sono i cinque pilastri da considerare e rivisitare per competere nel prossimo decennio (2020-2029), a dispetto della perdita di capitalizzazione delle imprese tradizionali e cercare di recuperare competitività.

L’istituto di analisi ha evidenziato come ci sia una piccola percentuale di aziende (14%) che crescono comunque sia a livello di ricavi che di margini anche nei periodi di recessione, mentre la maggior parte (44%) soffre sia a livello di ricavi che di margini.

I consigli di BCG-Henderson Institute per il prossimo decennio sono dunque, a livello strategico, di concepirsi e collocarsi dentro ecosistemi, in un processo continuo di apprendimento delle macchine dai comportamenti e delle persone dai dati, in un mondo ibrido tra fisico e digitale (Internet of things e cyberphysical system), dando spazio all’immaginazione e alla sperimentazione del nuovo e non solo all’ottimizzazione dell’esistente. Infine, resilienza.

A sua volta l’organizzazione va ripensata in una logica di integrazione e apprendimento, basandosi sulla creatività umana supportata dall’AI, facendo leva sugli ecosistemi e ripensando il management in termini ambidestri (governare il quotidiano e ispirare, condurre verso il nuovo); basandosi sulle soft skill, portando il mercato dentro l’organizzazione (“customer-centric”) e affidando ad algoritmi analisi e predittività del business. Il terzo pilastro da ripensare è la gestione del cambiamento secondo regole e modelli della scienza del cambiamento organizzativo.

L’imperativo della diversità per il successo delle imprese

Il quarto pilastro riguarda le risorse umane che dovrebbero puntare su una più accentuata diversity che porta ricchezza, innovazione e progresso, mentre in dieci anni la leadership femminile a livello mondiale, per fare un esempio, è cresciuta di un solo punto percentuale, dal 26 al 27%.

Reeves raccomanda "l’accountability", cioè la responsabilità, il monitoraggio e la misurazione dei progetti di inclusione su target specifici e sui risultati raggiunti, nonché un forte investimento sulle competenze che serviranno nella prossima decade, sottolineando l’importanza di associare competenze tecniche a competenze umanistiche. Ma come si fanno a combinare skill umanistiche e tecniche nelle stesse persone, giovani e lavoratori? «Allenando le menti al problem solving ed esponendole al pensiero sistemico e integrato, ha assicurato Reeves.

Il paradosso è che siccome non sappiamo di che profili avremo bisogno tra dieci anni, oltre a ingegneri, data scientist e pochi altri, le skill umanistiche di flessibilità, creatività e pensiero critico saranno di grande aiuto sia per continuare ad apprendere nuove competenze, sia per gestire business sempre più complessi, connessi a ecosistemi.

L’intelligenza artificiale viene in soccorso anche per assumere le persone giuste, sottoponendone a test come il Pymetrics sviluppato dal MIT, che combina appunto neuroscienze e AI per predire i profili più adatti alle necessità prospettiche di un’azienda», ha commentatio Reeves.

Infine, il quinto pilastro deve coniugare valore sociale e valore di business nel proprio “proposal value” aziendale, sviluppando un contesto di fiducia che vada oltre la massimizzazione della ricchezza, ma tenga conto di altre dimensioni altrettanto importanti. «Soprattutto le nuove generazioni», conclude Reeves, «danno importanza all’impatto sociale e ambientale di una organizzazione quando scelgono dove andare a lavorare».

 

Intelligenza artificiale a impatto zero sul business - Ultima modifica: 2019-10-24T12:46:32+02:00 da Gaia Fiertler