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Industria 4.0: dal Rise, un ritratto in chiaroscuro

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Gaia Fiertler

Big Data Analytics, IoT e robotica collaborativa sono le tecnologie più apprezzate dalla manifattura italiana. Come reale utilizzo, però, solo il 10% le ha sfruttate per il controllo della produzione da remoto e per sviluppare nuovi servizi durante il primo Lockdown. L’80% le vede come una opportunità concreta per il rilancio del business, ma poi il 43% pensa che non siano alla portata di tutti e la maggioranza non si sente ancora pronta con le nuove competenze tecniche e manageriali. Segnali di ottimismo per una ripresa della produzione nel 2021 arrivano soprattutto dalle aziende più digitalizzate.

Le imprese manifatturiere più digitalizzate sanno di avere più chance di crescita nel 2021. Sono i “campioni” della ricerca “Impresa Smart 4.0. La trasformazione digitale del manifatturiero a prova di pandemia” del Laboratorio RISE (Research & Innovation for Smart Enterprises) dellUniversità degli Studi di Brescia, giunta quest’anno alla quarta edizione biennale.

Rappresentano il 18% delle 165 aziende che hanno risposto al sondaggio, per metà grandi e per metà pmi soprattutto lombarde (41% produttori di macchine utensili, 16% metallurgia e 7% veicoli a motore) che, insieme a quelle “digitali” (26%), sono le più ottimiste sul futuro. Hanno infatti già investito in strumenti che aiutano la competitività, rispondendo velocemente ai cambiamenti del mercato con produzioni più efficienti ed efficaci, nuovi modelli di business, prodotti e servizi.

A differenza dei campioni, le “digitali” stanno ancora lavorando sulle competenze ma, come le prime, hanno già integrato i sistemi informativi e le tecnologie 4.0. Per le altre, le “informatizzate” (18%) che hanno predisposto i sistemi informativi per le nuove tecnologie, ma non le hanno ancora introdotte e per tutte quelle “al palo”, che sono ancora il 38%, c’è un ritardo non più sostenibile nell’adozione del paradigma 4.0. Le loro previsioni di crescita sono solo moderate e prevedono, più delle altre, ulteriori riduzioni di fatturato.

«Il Covid ha reso esplicito che è indispensabile un cambio di passo nella digitalizzazione, che permetta non solo il lavoro agile anche in produzione, ma soprattutto che faciliti la nascita di capacità predittive “data driven”, stimoli una crescente integrazione tra partner di filiera, aumenti la trasparenza delle catene del valore e, in generale, aumenti l’agilità e la resilienza dei sistemi economici, rispetto alle grandi perturbazioni che certamente vivremo nuovamente nel futuro», raccomanda Marco Perona, professore di Logistica Industriale e Supply Chain Management presso l’Università degli Studi di Brescia, direttore scientifico del Laboratorio RISE, contitolare e fondatore della spin-off accademica IQ Consulting.

Investimenti più in produzione che in logistica

Gli investimenti in tecnologie abilitanti l’Industria 4.0 riguardano soprattutto la produzione (50%), la ricerca e sviluppo (circa 40%), il post-vendita e i sistemi informativi (rispettivamente 30%) e, a decrescere, le altre divisioni aziendali, comprese logistica e distribuzione ed HR, quest’ultima all’ultimo posto. La direzione ha ancora il ruolo di principale agente di cambiamento, ma a guidare la trasformazione digitale stanno emergendo altre figure di prima linea e il CIO e il CTO.

Massimo Zanardini

I benefici vengono riscontrati trasversalmente su strategia, prodotto e persone ma ancora, soprattutto, sul miglioramento ed efficientamento dei processi. Le tecnologie 4.0 sono infatti considerate soprattutto come elemento abilitante l’automazione e l’incremento della produttività. Così, per esempio, le tecnologie digitali a supporto dei processi logistici hanno principalmente l’obiettivo di migliorare la produttività del magazzino e il livello di servizio al cliente, con riduzione dei tempi di “picking” e di errori.

 

«È invece ancora trascurato il supporto delle tecnologie digitali ai processi di pianificazione in una logica più tattico-strategica», commenta Massimo Zanardini, consulente di IQConsulting. Le tecnologie considerate più promettenti sono quelle legate all’analisi e all’interpretazione dei dati: Big Data Analytics, IoT (Internet of Things), robotica collaborativa e, a seguire, in rapida crescita l’intelligenza artificiale.

Marco Ardolino

«Un dato incoraggiante è l’incremento del numero di tecnologie implementate nelle imprese, che sale a tre, dimostrando che si inizia ad avere più visione rispetto a un impiego esteso e integrato delle stesse, e non finalizzato a un solo processo o a una porzione di processo», commenta Marco Ardolino, ricercatore dell’Università degli Studi di Brescia e consulente di IQConsulting. Tra l’altro, le tecnologie più adottate sono le stesse indicate come le più promettenti, dimostrando quindi una sostanziale coerenza tra loro adozione e rilevanza espressa.

Ostacoli e fattori abilitanti il paradigma 4.0

Le imprese faticano a stimare i benefici associati agli investimenti in Industria 4.0 e questo viene indicato come il maggior ostacolo a una sua piena adozione. C’è anche un tema di difficile comprensione del modello, un tema di vincoli finanziari e una difficoltà sul fronte dell’integrazione tra le tecnologie 4.0 e l’infrastruttura IT già esistente.

Al primo posto come fattore abilitante per una reale trasformazione digitale, però, le imprese indicano le risorse umane (81%), con le competenze che servono: 70% tecnologiche, 55% manageriali, 45% analitiche, 38% relazionali. Si sentono già pronte solo il 26% delle imprese, parzialmente il 46% e per niente il 27%. Quindi si chiede un sistema scolastico che formi giovani talenti (56%), un ecosistema di partner affidabili (45%) e più incentivi statali (40%), centri di trasferimento tecnologico e servizi per le imprese (35%); maggiore accesso al credito (21%) e capacità di attirare capitali stranieri (19%).

Le politiche industriali caldeggiate sono ancora gli incentivi fiscali (74%), l’adeguamento del sistema scolastico ai bisogni delle imprese, incentivi alla formazione (53%), investimenti pubblici in infrastrutture (47%), incentivi alla costituzione di reti d’impresa (35%) e partnership pubblico-private (27%).

«I risultati della ricerca sono in chiaroscuro: è incoraggiante che il paradigma 4.0 venga visto come una concreta opportunità per rilanciare il manifatturiero a valle della pandemia, si registra un maggiore ottimismo con cui si guarda alla ripresa, cresce l’attecchimento delle soluzioni e c’è una chiara consapevolezza della centralità delle persone e delle competenze per una piena e utile adozione degli strumenti.

Andrea Bacchetti

Tuttavia, si approfondisce la frattura fra chi sta seguendo una precisa roadmap per la trasformazione digitale della propria azienda, con una chiara visione di dove andare con il cambio di paradigma, e chi invece è fermo al palo. L’estensione degli incentivi, come previsto dal Piano di transizione 4.0, a una platea più ampia e su base biennale potrebbe aiutare le aziende a pianificare meglio, ma serve agire ancora su sensibilizzazione, divulgazione e formazione di nuove figure professionali», commenta Andrea Bacchetti, responsabile della ricerca del RISE.

Digitale concentrato sul remote working in pandemia

Solo una minoranza delle imprese intervistate ha sfruttato le nuove tecnologie digitali per rispondere alle restrizioni imposte dal Lockdown, per esempio con il controllo delle produzione da remoto (10%) o con la conversione flessibile verso nuovi prodotti e servizi (10%). Per lo più, nel 2020 il digitale è stato implementato per trasferire il lavoro d’ufficio su piattaforma, nel cosiddetto “remote working” o “smart working”. Il 90% ha organizzato riunioni e meeting da remoto con clienti e fornitori e l’80% ha organizzato il lavoro a distanza per gli impiegati degli uffici.

«È stato più veloce il passaggio al remote working per gli amministrativi. Basta l’acquisto di una piattaforma di meeting e collaborazione e dotare ciascun dipendente di un portatile, nel caso non l’avesse già. Strutturare invece il reparto produttivo per la remotizzazione richiede tempo, una programmazione attenta e una mentalità “molto aperta” da parte dei vertici aziendali. Tra l’altro, la diffusione del Covid è stata un evento shock, che non ha dato né modo né tempo di agire con cognizione di causa, quantomeno per chi non avesse già una roadmap digitale in corso nei propri impianti», spiega ancora Ardolino.

Alla fine, quattro su cinque le aziende manifatturiere del campione hanno avuto un calo di fatturato nel 2020, ma riparte la fiducia per il 2021 con “solo” il 37% che prevede un calo, mentre il 17% si aspetta una qualche crescita (contro l’8% effettivo dello scorso anno) e il 36% non prevede nessuna variazione rispetto al budget.

Casi di digitalizzazione in produzione e logistica

In occasione della presentazione della ricerca di Rise, alcune aziende italiane hanno raccontato i loro progetti di digitalizzazione che stanno dando risultati soddisfacenti in termini di efficienza, qualità, servizio al cliente (efficacia) e anche apertura a nuovi modelli di business più orientati al servizio.

La divisione Interiors in Motion di Poltrona Frau per interni di auto di lusso e treni di prima classe, per esempio, con obiettivi di altissima qualità controllata al 100%, ha adottato un sistema Mes con la soluzione Shop Floor Monitor di SedApta Suite per efficientare la produzione e garantire la massima qualità, riducendo gli scarti e standardizzando al tempo stesso il processo produttivo. L’implementazione, avvenuta tra il 2019 e il 2020, verrà ora estesa alle altre divisioni aziendali.

Il Gruppo Burgo, a sua volta, produttore di carta con 11 stabilimenti in Italia e uno in Belgio e 1.300 clienti in Europa, ha avviato il proprio processo di digitalizzazione una decina di anni fa in una logica “data driven” e, nell’ultimo anno, ha accelerato sull’integrazione con la filiera logistica.

Grazie a un sistema Cloud di geolocalizzazione dei trasportatori, implementato da Transporeon, ha ottimizzato i tempi di carico e scarico, ha efficientato la comunicazione con i trasportatori, ha migliorato il servizio al cliente come tempi di consegna e ha ridotto i chilometri a vuoto, nonché l’emissione di anidride carbonica. In tempo reale, infatti, ora vede la posizione di ciascun trasportatore del proprio network, che viene contattato e ingaggiato in automatico, compresi i cosiddetti “ritornisti”, che farebbero il ritorno senza carico e magari si trovano proprio nelle vicinanze di un fornitore o di cliente di Burgo.

Così, attraverso un uso intelligente del digitale, il Gruppo ha anche sviluppato un consistente network di fornitori e trasportatori (oltre 120mila) che intervengono in modo efficace su oltre 100mila slot orari prenotati e assegnati ogni giorno e oltre 20 miliardi di euro di volume di trasporto gestito ogni anno attraverso la rete.

Lima Corporate è un gruppo italiano che realizza soluzioni protesiche altamente personalizzate, grazie allo sviluppo di piattaforme digitali supportate da intelligenza artificiale, condivise con i chirurghi dalla progettazione alla realizzazione in 3D con prototipazione rapida, test di fattibilità e consegna finale della soluzione sterile, fino all’applicazione in sala chirurgica con la guida del sistema digitale.

Luca Vozzi

«Non ci siamo fermati neppure durante la pandemia, nei mesi in cui non potevamo recarci negli ospedali, e anzi abbiamo potenziato la formazione a distanza degli ortopedici, sfruttando VR e AR. Non solo, ma abbiamo proprio voluto cavalcare l’opportunità della comunicazione digitale che, in fondo, ci ha resi uguali ai grandi gruppi del nostro settore, perché lo schermo ha dimensioni uguali per tutti», racconta Luca Vozzi, Vicepresident Operations Lima Corporate, che nel 2018 ha acquisito l’americana TechMah Medical LLC, software house specializzata in soluzioni medicali.

La roadmap digitale avanzata ha consentito al Gruppo di inaugurare di recente, a marzo, la prima fabbrica digitale di protesi in 3D direttamente dentro un ospedale ortopedico di Manhattan: «Grazie al digitale inauguriamo anche un nuovo modello di business: entriamo direttamente in ospedale con il prodotto finito», commenta Vozzi.

Roberto Bianchi

Anche La Marzocco di Firenze, produttrice di macchine per il caffè, ha una visione molto chiara su dove vuole andare sfruttando le potenzialità del digitale: «Siamo a metà del guado: il nostro obiettivo finale è avere connesse tutte le nostre macchine per fornire servizi di manutenzione predittiva, per migliorare sempre di più la qualità, per conoscere i nostri clienti finali e per sviluppare una logica più di servizio che di vendita della macchina», commenta Roberto Bianchi, Chief Operations Officer di La Marzocco.

In azienda si definiscono “Artigiani 4.0”, perché la costruzione del prodotto è ancora affidata alla manualità senza automatismi, ma hanno introdotto il supporto digitale nel reparto di assemblaggio e in magazzino.

Essere guidati nell’assemblaggio da un sistema digitale che, al tempo stesso, raccoglie informazioni sulle azioni compiute e sullo stato di avanzamento dei lavori ha un duplice vantaggio: consente di far operare sulle macchine operatori non ancora specializzati, ancora in formazione, guidati passo passo sul tablet che hanno in dotazione e, al tempo stesso, di monitorare le fasi di lavorazione e intervenire su eventuali inefficienze o errori, anche con alert.

Luciano Sottile

La divisione macchine di imballaggio di Goglio è impegnata in una evoluzione del proprio modello di business verso il concetto di servitizzazione della macchina, su cui innestare servizi a valore aggiunto. «Abbiamo realizzato una mappa della trasformazione digitale dei nostri impianti e del nostro prodotto, con l’introduzione progressiva delle tecnologie abilitanti, ma partendo dall’ottimizzazione dei processi, se no si rischia di digitalizzare le inefficienze», racconta Luciano Sottile, General Manager di Goglio.

Oggi l’azienda ha già collegati cento impianti h24 che danno dati di funzionamento, resoconti e consentono analisi predittive e alert in caso di scostamenti rilevanti. «Dopo aver implementato un primo sistema IoT commerciale, abbiamo deciso di realizzare un piattaforma nostra, portando in azienda le competenze informatiche necessarie. D’altronde oggi le macchine non sono più meccaniche, ma meccatroniche e la componente software è sempre più presente», precisa il manager.

Infine, il Gruppo 1177-Eleven SeventySeven, tradizionalmente produttore di intimo e calze, negli anni ha diversificato il proprio business seguendo il filo conduttore della digitalizzazione. Dalle macchine vending alla produzione di cioccolato, ha infatti sfruttato le potenzialità del digitale che offre servizi aggiuntivi (pagamenti digitali per le vending machine e un robot umanoide di supporto, Pepper) e garantisce alta qualità negli impianti produttivi del cioccolato. «Anche noi ci consideriamo “artigiani 4.0”. Garantiamo la massima qualità del cioccolato grazie ai sensori e un algoritmo che controllano gli standard di processo», commenta Luca Bondioli, Ceo di 1177 e Ciocomiti.

Il Gruppo ha creato al proprio interno una divisione digitale con l’acquisizione di un system integrator, che sviluppa soluzioni per i diversi business del Gruppo e anche per il mercato, dimostrando la capacità di contaminazione e di volano delle nuove tecnologie. «In questo modo garantiamo alle nostre persone continuità del lavoro e diamo prospettive per il futuro. Il tessile ha perso il 25% nel 2020, il digitale ha tenuto, il food è cresciuto del 48%. Quest’anno ci aspettiamo di triplicare il fatturato digitale, di stabilizzare la parte tessile e di crescere ancora nel food», conclude Bondioli.

Industria 4.0: dal Rise, un ritratto in chiaroscuro - Ultima modifica: 2021-04-29T15:35:11+02:00 da Gaia Fiertler