Diminuisce il totale degli hub (-8%), ma rispetto al 2023 crescono tutti gli altri parametri. Sono 5.780 le aziende incubate (+100%), oltre 600 milioni di euro di fatturato (+20%) e si stimano 5mila addetti (+156%).

La distribuzione geografica resta costante rispetto agli anni passati. La maggior parte si concentra nel Nord-Ovest, con la Lombardia in testa con 56 realtà. Nel resto del Paese, spiccano Emilia-Romagna (27), Lazio (26), Campania (22) e Toscana (20).
Incubatori e startup si consolidano
«Il numero di incubatori e acceleratori è diminuito rispetto all’anno precedente. Ma questo non deve essere visto come un problema, anzi, è possibile che sia in corso un positivo consolidamento e quindi rafforzamento di queste organizzazioni. Infatti, continuano comunque ad aumentare il numero di dipendenti e i fatturati complessivi», spiega Paolo Landoni. Landini è professore ordinario del Dipartimento di Ingegneria Gestionale e della Produzione del Politecnico di Torino e direttore del report.
Un'indagine sullo scenario nazionale
L’indagine è condotta dal team di ricerca Social Innovation Monitor (SIM) e dai ricercatori del Politecnico di Torino, con il supporto di InnovUp, l’associazione che dal 2012 rappresenta e unisce la filiera dell’innovazione italiana. Main partner dell’iniziativa, e di PNICube, sono Italian Competence Center for Social Innovation (ICCSI), Fondazione Giacomo Brodolini, Neolithic Evolution e Social Innovation Teams (SIT). Alla survey hanno risposto 55 incubatori su 239 (il 23% del totale).
Il panorama dell’incubazione italiano è rappresentato per il 57% da società a responsabilità limitata, per il 18% da società per azioni e per il resto da associazioni, ATI ed enti pubblici. Il sistema è ancora poco attrattivo a livello internazionale. Solo il 5% delle organizzazioni supportate ha sede all’estero, mentre il 75% si trova nella stessa regione dell’incubatore o in una regione limitrofa.
Ma cosa fanno gli incubatori?
Oltre a favorire relazioni e networking per la prossimità tra aziende concentrate nel medesimo luogo nato per supportarle, il primo servizio per importanza resta l’accompagnamento manageriale. Questo è seguito da spazi fisici (inclusi servizi condivisi) e dalla formazione imprenditoriale e manageriale.
Altri servizi rilevanti sono il supporto alla ricerca di finanziamenti e i servizi amministrativi, legali e giuridici. Tra le attività più frequenti c’è infatti la partecipazione a progetti e bandi, la gestione e promozione di eventi, la consulenza a titolo oneroso per enti pubblici, PMI e grandi imprese, attività a titolo oneroso di scouting e Open Innovation per aziende corporate e/o altri soggetti e i servizi di coworking.
Un incubatore su due ospita e supporta organizzazioni con un impatto sociale o ambientale significativo. Quindi è detto “Mixed” (se fino al 50%) o “Social Incubator” (oltre il 50%) per la presenza di startup a impatto sociale e/o ecologico. I settori più rappresentati sono “salute e benessere, incluso lo sport” e “sviluppo della comunità”. Gli altri incubatori sono definiti “Business Incubator”, con organizzazioni senza un impatto sociale o ambientale significativo.
Incubatori come motore di innovazione

«Questi dati confermano quanto gli incubatori e acceleratori siano attori fondamentali per la crescita dell’innovazione nel nostro Paese. E non solo come supporto alle startup, ma anche come motori di impatto sociale e territoriale. Per questo accogliamo con particolare favore le misure introdotte dal DDL Concorrenza. L'estensione della certificazione anche agli acceleratori e il credito d’imposta dell’8% per investimenti diretti e indiretti in startup. Auspichiamo che tali norme siano attuate quanto prima. Rilanciamo proponendo che la certificazione sia estesa anche a startup studio/venture builder, che gli incentivi previsti per gli incubatori siano estesi anche agli acceleratori e che il credito d’imposta sia reso permanente e non solo riservato agli investimenti nel 2025», conclude Giorgio Ciron, direttore di InnovUp.