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Startup e incubatori al centro dell’innovazione

Fare massa critica e, al contempo, far comprendere il valore esponenziale del modello delle startup innovative e degli incubatori per il trasferimento tecnologico sono le due leve emerse durante la presentazione dell’ultimo Report sugli incubatori e acceleratori italiani, coordinato dal Politecnico di Torino

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Gaia Fiertler

Gli incubatori continuano a crescere, ma il ritmo è diminuito rispetto agli anni di picco tra il 2013 e il 2016. I fatturati sono in leggera flessione, ma aumentano gli operatori coinvolti. Il Social Innovation Team (Sim), team di ricercatori e professori di diverse università uniti dall’interesse per l’innovazione e l’imprenditorialità a significativo impatto sociale o ambientale, coordinato dal Politecnico di Torino, restituisce una fotografia dello stato dell’arte degli incubatori/acceleratori italiani. Sono le strutture che supportano il processo di creazione e sviluppo di nuove imprese innovative con servizi e risorse offerti sia direttamente, sia attraverso reti di partner.

Nel complesso, il 2020 ha tenuto come sistema nonostante la pandemia, con una leggera flessione del fatturato: 348 milioni di euro, contro i 373 milioni di euro nel 2019, che comunque era già in leggera flessione rispetto ai 391 milioni nel 2018, primo anno di significativa crescita rispetto ai 222 milioni del 2017. Nel 2020 sono nati 7 nuovi incubatori, con un significativo aumento della media dei dipendenti, che è passata da 5,7 a 7, per un totale di 1.595 operatori contro i 1.219 dell’anno prima. Gli incubatori che hanno risposto al questionario(85, il 37% del totale) hanno supportato 2.252 team imprenditoriali nel primo anno di pandemia.

Paolo Landoni

«Nonostante la flessione del fatturato, fa ben sperare l’aumento dei dipendenti che, secondo le nostre stime, dovrebbe essere continuato anche nel 2021», commenta Paolo Landoni del Politecnico di Torino, direttore della ricerca Sim.

Diverse le misure governative a supporto delle startup innovative negli ultimi anni. Dei 23 incubatori che dichiarano che in totale le organizzazioni da loro incubate hanno ricevuto più di 1 milione di euro di finanziamenti, il 30% dichiara che l’ammontare è minore o uguale di 2 milioni di euro. Rispetto all’anno precedente, dove nessun incubatore superava i 36 milioni di finanziamenti, nel 2020 ben 4 incubatori hanno superato i 50 milioni di euro.

Nel PNRR sono previsti finanziamenti diretti alle startup innovative nella tranche prevista entro il 30 giugno per la transizione digitale (circa 300 milioni di euro) e per quella ecologica (circa 250 milioni di euro), oltre alla partecipazione italiana a un fondo europeo che porterà altri 200 milioni di euro al sistema startup.

I numeri sugli incubatori

La maggior parte degli incubatori italiani, che sono 229 tra pubblici (31), pubblico-privati (48) e privati (144), nasce negli ultimi dieci anni, soprattutto al Nord e al Centro, con Lombardia (57%), Emilia Romagna e Lazio ai primi posti. Di questi incubatori una trentina sono universitari e 17 Corporate.

L’accelerazione avviene tra il 2013 e il 2016 per probabile effetto del decreto Crescita 2.0, del decreto ministeriale per l’autocertificazione degli incubatori di startup e di quello per l’aggiornamento dei requisiti per l’autocertificazione. «Dopo il picco è iniziato il rallentamento. Ne nascono ancora di nuovi, soprattutto privati, ma con ritmi più lenti. D’altronde, sono arrivate sul mercato anche nuove realtà, come i Venture Builder e gli Startup Studio», precisa Landoni.

Le attività riconosciute come più rilevanti dagli incubatori sono diverse. C'è l’accompagnamento manageriale, che prevede tutta una serie di attività (redazione del Business Plan, costituzione societaria, sviluppo del modello di business, mentoring, marketing e supporto alle vendite, internazionalizzazione). Seguono il supporto allo sviluppo di relazioni (networking) con centri di ricerca, università, enti, aziende, altre imprese incubate e il supporto nella ricerca di finanziamenti, compreso il dialogo con gli investitori.

Nel 2020 sono cresciute anche le attività di formazione imprenditoriale e manageriale, valorizzate in particolar modo dagli incubatori sociali (Social Incubator 14%), quelli con oltre il 50% di startup a significativo impatto sociale e/o ambientale, in particolare protezione ambiente e animali, salute e benessere e cultura, arti e artigianato. Ovviamente questi incubatori puntano molto sui servizi di valutazione dell’impatto sociale o ambientale, sulla formazione e consulenza su Business Ethics e CSR (che interessano meno i Business Incubator, che rappresentano il 50%) e sui servizi amministrativi, legali e giuridici.

Nell’ultimo anno, è cresciuta anche l’attenzione ai servizi di accompagnamento manageriale, di spazi fisici e di formazione imprenditoriale e manageriale. Gli incubatori misti (36%), invece, considerano più rilevanti i servizi di supporto allo sviluppo e allo scouting di tecnologie e la gestione della proprietà intellettuale.

Gli incubatori pubblici tendono a incubare le startup dai tre ai sei mesi, mentre quelli privati e quelli pubblico-privati da uno a tre anni. Nel 65% dei casi le candidature sono aperte, mentre nel 59% dei casi attraverso Call. Nel 2020 le aziende del campione hanno ricevuto 11.133 richieste di incubazione.

Cosa servirebbe al Paese per mettere a terra l'innovazione

Quello che emerge dalla fotografia restituita dal Sim è che si tratta ancora di una nicchia e di piccoli numeri rispetto alla necessità del Paese di accelerare la messa a terra dell’innovazione, con il trasferimento tecnologico al tessuto produttivo che sconta ancora significativi ritardi in digitalizzazione e nuovi modelli di business.

Stefano Soliano

Come potenziare l’effetto volano di questi ecosistemi innovativi? «Come incubatori abbiamo la missione di accompagnare sul mercato le nuove imprese innovative, verificandone l’approccio imprenditoriale e supportandole nel loro sviluppo. Ma dobbiamo anche far comprendere alle istituzioni che il modello delle startup è cruciale per lo sviluppo del Paese e la transizione digitale ed ecologica, anche se i loro numeri non sono paragonabili ad altri settori (170mila imprese solo nell’automotive, 13-14.000 il sistema delle startup)», commenta Stefano Soliano, vicepresidente di InnovUp - Italian Innovation & Startup Ecosystem e direttore generale di ComoNExT - Innovation Hub.

«Tuttavia, servono finanziamenti adeguati per la funzione che svolgono, come già fanno gli altri Paesi al di là dei numeri perché, per loro natura, le startup non sono ancora consolidate e scalate sul mercato. Ritengo ci sia un equivoco di fondo su come valutare gli investimenti da destinare al nostro ecosistema».

Considerare la filiera dell’innovazione nella sua interezza e potenziare la dimensione di rete degli incubatori stessi sono modalità per fare massa critica agli occhi degli investitori e degli imprenditori. In Emilia Romagna la rete In-ER raggruppa 28 incubatori ed è coordinata da Art-Er Attrattività Ricerca Territorio, società consortile regionale nata per favorire la crescita sostenibile attraverso lo sviluppo dell’innovazione e della conoscenza, l’attrattività e l’internazionalizzazione del sistema territoriale.

Sara Monesi

«L’ecosistema dell’innovazione è stato gestito fin dal 2000 in modo interconnesso e a rete con tecnopoli e centri d’innovazione. Nel 2011 è nata la piattaforma Emilia Romagna Startup, prima occasione per mappare l’offerta, con cui Art-er ha iniziato ad avere relazioni, che ha intensificato dal 2018 con gli incubatori, dopo un viaggio significativo in Silicon Valley, incubatori riunite in rete che coordina.

Aiutiamo gli incubatori ad accrescere le proprie competenze e a fornire una uniformità di servizi alle nuove imprese. Dà valore aggiunto formare velocemente i team non ancora costituiti e mettere prontamente le startup a contatto con il mercato, perché le potenzialità diventino prodotti e servizi concreti», conclude Sara Monesi, responsabile dell’Unità Startup in Art-ER.

Startup e incubatori al centro dell’innovazione - Ultima modifica: 2022-02-21T10:31:56+01:00 da Gaia Fiertler