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Decisioni “data driven”: ma quali dati e come usarli?

Troppi dati da troppe fonti stanno mandando in tilt i classici processi decisionali. Manager e imprenditori sono di fronte a un bivio: seguire l’istinto e le scorciatoie della mente, o investire nella strutturazione, analisi e interpretazione dei dati? Il rischio del dilemma decisionale nello studio globale di Oracle e nello studio Ibm declinato sulle strategie ESG.

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Gaia Fiertler

Decidere sulla base di simulazioni accurate, grazie a un’elaborazione automatica dei dati, renderebbe i processi decisionali più affidabili e i manager più sicuri delle loro scelte. L’85% dei 15mila “decision maker”, intervistati da Oracle in 17 Paesi, ammette che deciderebbe più facilmente se potesse prevedere le conseguenze delle decisioni prese. Un uso intelligente di dati e tecnologie, come data analytics, machine learning e Artificial Intelligence, aiuterebbe a connettere informazioni, insight e azioni conseguenti.

Le persone sanno ormai che, senza dati, le loro decisioni sarebbero meno accurate (44%), meno efficaci (27%) e più soggette a errori (39%). Sanno anche che un’organizzazione che utilizza la tecnologia per prendere decisioni basate sui dati è più affidabile (79%) e di successo (79%), soprattutto in ambito HR (94%), Finance (94%), Supply chain (94%) e Customer experience (93%). Questo sarebbe il modello ideale. Al contrario, i più lamentano di-stress fino a un blocco-dilemma decisionale per eccesso di dati da fonti disparate che creano confusione, dubbi e incertezza.

Attendibilità e rilevanza dei dati

C’è infatti un tema di attendibilità dei dati come fonte/fonti e un tema di rilevanza rispetto al contesto decisionale. Il 77% afferma infatti che i cruscotti di sintesi e i grafici che utilizzano non sempre sono attinenti e funzionali ai loro processi decisionali. In più, per il 72% questi dati sarebbero decifrabili - e quindi fruibili in modo sensato - solo da professionisti IT e data scientist. La mancanza di fiducia nei dati a disposizione, sia per sovrabbondanza sia per interpretazione degli stessi, ha portato il 72% a rinunciare a prendere decisioni e a un rallentamento dello sviluppo aziendale (89%). Servono più risorse aggiuntive per raccogliere tutti i dati (40%), con un rallentamento del processo decisionale strategico (36%) e un aumento del rischio di errori (26%).

Dati come usarli
T. K. Anand

In sostanza, il 70% afferma che la raccolta e l’interpretazione di così tanti dati è “troppo da gestire” per loro. Soprattutto nel mondo imprenditoriale, dove il 78% dei dipendenti afferma che si tende prima a prendere decisioni e poi a cercare dati a supporto. Il 74% ritiene inoltre che le aziende diano più peso al parere della “persona con lo status aziendale o lo stipendio più alto”, che non ai dati stessi e il 24% ritiene che la maggior parte delle decisioni prese non siano logiche. Di fronte all’incertezza, il 29% dice di decidere basandosi solo sul proprio istinto e il 39% di basarsi solo sulle fonti di cui si fida.

«L’esitazione, la diffidenza e la mancanza di comprensione dei dati, che emergono da questo studio, indicano che molte persone e organizzazioni devono ripensare il loro approccio ai dati e al loro processo decisionale. Ciò di cui le persone hanno realmente bisogno è poter connettere dati, insight, decisioni e azioni», spiega T. K. Anand, Executive vice President di Oracle Analytics.

Il vantaggio dei data analytics e del Cloud

È incoraggiante che oltre uno su 4 gli imprenditori italiani intervistati a marzo nell'Indagine EY sull’imprenditoria intendano investire proprio sui data analytics a supporto delle strategie commerciali, sulla fabbrica digitale e interconnessa con applicazioni di advanced manifacturing (24%) e sulle competenze digitali del personale proprio per trarre vantaggio dalle nuove tecnologie e prendere decisioni “data driven” (25%).

Sul valore aggiunto offerto anche dal Cloud si punta invece ancora poco (solo il 6%), ma dipende molto da una serie di fattori, come il tipo di azienda, la necessità di interconnessione multiplant e dalle quantità di dati da processare. Secondo Sylvain Querné, per esempio, direttore generale di 6sicuro.it di Assiteca del Gruppo Howden, broker assicurativo on-line, strumenti di Intelligenza artificiale e machine learning offerti da piattaforme Cloud sarebbero utili per interpretare e trarre vantaggio dai dati, senza dover essere dei data scientist.

«Da oltre 20 anni lavoro in ambito digitale e marketing e ho toccato con mano più volte l’importanza di avere un’unica fonte di verità nei dati, per prendere decisioni a vantaggio dei clienti. In 6sicuro.it la comparazione di polizze assicurative efficiente e veloce è il fattore competitivo. Per questo, con Oracle, abbiamo compiuto un cambio di passo importante basato su dati e Cloud e iniziamo ad avere i primi risultati incoraggianti», racconta il manager.

La mancanza di dati frena anche i risultati ESG

La ricerca globale di Ibm Institute for Business Value (IBV) “The ESG ultimatum: Profit or perish”, su 2.500 dirigenti di 22 settori e 20.000 consumatori in 34 Paesi, individua nella difficoltà a reperire e gestire i dati la prima causa di freno allo sviluppo di progetti ESG (Environmental, Social and Governance). Secondo i manager intervistati, infatti, dati inadeguati (41%) sarebbero il maggiore ostacolo ai progressi ESG, seguiti da barriere normative (39%), standard incoerenti (37%) e competenze inadeguate (36%). Come conseguenza, senza la possibilità di accedere, analizzare e comprendere i dati ESG, le aziende avrebbero difficoltà anche a fornire una maggiore trasparenza ai consumatori. E così, a sua volta, solo un consumatore su 3 dichiara di disporre di informazioni sufficienti per  prendere decisioni consapevoli.

Eppure, a livello di intenzioni la maggior parte dei dirigenti (76%) afferma che gli ESG sono fondamentali per la propria strategia aziendale. Quasi 3 su 4 (72%) li considerano un fattore di crescita anziché un costo, non in contrasto con la redditività e il 76% è d’accordo con la propria azienda sugli obiettivi di sostenibilità. Il freno principale sarebbe dunque la disponibilità di informazioni strutturate e complete, su cui costruire dei percorsi per ridurre l’impatto. Oppure, o anche, la loro disponibilità per monitorare e comunicare ai consumatori, o alla filiera, le conseguenze sull’impatto delle azioni sostenibili messe in campo.

Così, il 95% dei dirigenti afferma che le loro organizzazioni hanno sviluppato proposte ESG. Solo il 41% però ha compiuto progressi in tal senso. E quasi 3 dirigenti su 4 (73%) affermano che le loro aziende hanno difficoltà con un sovraccarico nella gestione dei dati manuali, mentre 7 su 10 affermano di avere difficoltà a consolidare o analizzare i dati. Tuttavia, le tecnologie digitali possono aiutare a monitorare in modo puntuale consumi e impronte fossili da monte a valle, come testimoniato nel recente incontro “Green Ex-Machina”

Automazione, AI e filiera nelle aziende più sostenibili

Lo studio evidenzia come le aziende con una maggiore maturità nell’integrare la sostenibilità nell’operatività registrino un aumento dei ricavi, una maggiore redditività e un maggiore coinvolgimento dei clienti. La strategia adottata per ridurre l’impatto include l’automazione dei processi ESG e del reporting per mantenere i dati aggiornati. Le aziende champion utilizzano l’intelligenza artificiale per migliorare le prestazioni, fare analisi previsionali e sviluppare scenari. Infine, lavorano sull’allineamento con i partner dell’ecosistema, riguardo alle definizioni e agli standard delle metriche ESG e sui principi di governance dei dati monitorati.

«I dati sono la linfa vitale della sostenibilità. Ora è il momento per le aziende di agire. Con l’operatività dei piani ESG, le organizzazioni mettono le informazioni nelle mani dei propri operatori, che possono prendere decisioni informate per migliorare il loro impatto su base giornaliera. Le organizzazioni che desiderano aumentare il sostegno degli stakeholder e soddisfare i requisiti di rendicontazione ESG dovrebbero implementare una Roadmap di sostenibilità che comprenda tecnologie, servizi e partner dell’ecosistema», Jonathan Wright, Global Managing Partner Sustainability Services and Global Business Transformation di Ibm Consulting.

Decisioni “data driven”: ma quali dati e come usarli? - Ultima modifica: 2023-05-02T12:00:24+02:00 da Gaia Fiertler