Una settimana di fuoco, quella dal 2 al 9 aprile 2025. Dal Liberation Day ai dazi di risposta dell’UE, per arrivare poi alla sospensione di 90 giorni annunciata da Trump. E prontamente replicata anche da Bruxelles.
È successo di tutto, e siamo nuovamente a un punto morto. Sembra che non sia accaduto nulla, ma in realtà sono stati bruciati miliardi di dollari (e di euro), con una situazione che non appare definita. Pende ancora la scure dell’imposizione tariffaria statunitense, sul commercio globale. E ora, più che mai, è tutto nelle mani della diplomazia economica.
Eravamo rimasti al Liberation Day: il 2 aprile 2025 Trump annuncia il calendario dei dazi. Dal 5 aprile 2025 imposizioni tariffarie erga omnes. Tutti i beni che entrano negli USA vengono gravati da un dazio del 10%, senza differenziazioni e privilegi per Paesi. Ma il vero upgrade sarebbe dovuto arrivare il 9 aprile 2025: imposizioni daziarie suppletive ad alleati e rivali, con un peso differente.
I cosiddetti dazi aggiuntivi, definiti ad valorem (quindi solo sul prezzo del bene, senza considerare i costi di trasporto, fortunatamente), che avrebbero dovuto colpire una rosa di Paesi, secondo percentuali variabili. Il tutto, per riequilibrare i flussi commerciali, mitigando le attuali distorsioni al commercio USA. Percentuali importanti, dal 20% al Made in Europe fino al 49% della Cambogia (senza dimenticare lo strano caso del Lesotho, +50%).
La risposta dell’Europa ai Dazi USA
Logicamente, dopo le prime ore di “sconforto”, è partita la macchina della controreazione. Tendenzialmente, la comunità internazionale ha scelto di non iper reagire con aggressività alle iniziative di Trump, evitando l’acuirsi della guerra commerciale. L’UE ha optato per una risposta graduale, fondata in primis sul ricorso agli accordi multilaterali, laddove gli USA ne avessero dato la possibilità.
Allo stesso tempo, però, ha messo in mostra il suo cosiddetto “bazuka”, pronto all’uso, se necessario. In attesa di capire come poter addivenire a un accordo con la parte statunitense, Bruxelles nella giornata del 9 aprile 2025 ha dato avvio alla sua controrisposta. Ad eccezione dell’Ungheria, tutti gli Stati Membri hanno votato a favore della proposta della Commissione europea di introdurre contromisure commerciali nei confronti degli Stati Uniti.
Dunque, 26 sì per rispondere alle tariffe americane: contromisure che valgono 20,9 miliardi di euro. E che potrebbero (oramai il condizionale è d’uopo) essere riscossi in tre tempi: a partire dal 15 aprile 2025, per 3,9 miliardi di euro di scambi commerciali, dal 15 maggio per 13,5 miliardi di euro e dal 1° dicembre, per la restante quota.
Il tutto è riportato nel “Regolamento di esecuzione”, corredato da quattro allegati con le liste dei prodotti soggetti a dazi, e le relative aliquote. Vengono riprese le voci del 2018, quando l’UE fu “costretta” a introdurre i dazi di ritorsione per le tariffe applicate ad acciaio e alluminio, oltreoceano (+25% e +10%). Nel 2021, con l’arrivo di Biden, la disputa si chiuse. Ma i “corsi e ricorsi storici” di Giambattista Vico sono più attuali che mai.
I Dazi USA e la mossa a sorpresa: 90 giorni di tregua
L’UE, tuttavia, aveva messo in conto la sospensione dell’imposizione daziaria, in qualsiasi momento – qualora gli USA avessero accettato una negoziazione “equa ed equilibrata”. E, in effetti, è accaduto prima del previsto. A sorpresa – sebbene rumors circolassero già da ore, prontamente smentiti dalla White House – lo stesso 9 aprile 2025, a distanza di qualche ora dal meeting di Bruxelles, Trump sembra fare marcia indietro.
Annuncia una sospensione dei dazi ad valorem (quelli, cioè, imposti a partire proprio dallo stesso 9 aprile) nei confronti dei Paesi target. La decisione viene presa per premiare l’impegno mostrato dalla comunità imprenditoriale nel forte adoperarsi per una soluzione diplomatica della questione. Un impegno mostrato da tutti tranne che da Pechino, che vede acuirsi le imposizioni fino a un +125%, con effetto immediato.
Dunque, una dilazione temporale che concede spazio e tempo alle trattative. Intanto, però, il Made Elsewhere (ndr), ovvero tutte le produzioni extra USA che vengono importate, sarà comunque tassato con quel fisso 10% erga omnes, in vigore dal 5 aprile 2025. Il tutto appare allora un’apertura relativa: i dazi restano, seppur meno invasivi.
L’incognita “futuro” per i dazi
Questo è il quadro, al momento. Precario, variabile e tendenzialmente confuso. Poi, di quello che accadrà domani nessuno può averne certezza. La situazione, come abbiamo imparato a capire, è talmente volubile che destabilizza ogni cosa. In primis la progettualità del business. E, a seguire, le scelte imprenditoriali.
Se ne riparlerà a luglio?
Avremo risposte dopo il 17 aprile 2025, quando la Premier Meloni volerà a Washington per incontrare il Presidente?
E, soprattutto, cosa si aspetta Trump dall’UE? Probabilmente una contro sospensione di risposta, come quella arrivata a metà giornata del 10 aprile: termini bloccati anche per i dazi UE, sempre per 90 giorni.
E, intanto, Bruxelles attende sempre quella famosa negoziazione “equa ed equilibrata”. Che chissà se e quando arriverà. Stay tuned!