Per decenni l'indicazione “Made in Italy”, apposta sui prodotti alimentari, ha rappresentato un sinonimo di qualità sui mercati di tutto il mondo. Ma questo brand ha ancora un reale valore? A chiederlo, con un'indagine che ha coinvolto 80mila consumatori in 27 Paesi interpellati, è stata EY.
I risultati ottenuti dall'indagine EY sono particolarmente interessanti, perché permettono anche di capire quanto il fenomeno dell'Italian Sounding abbia danneggiato i produttori italiani, chiamati a confrontarsi con competitor sempre più agguerriti.
Senza contare che, in base alle ultime stime, solo il 15% delle aziende agroalimentari italiane possiede oggi la forza per proporsi sui mercati internazionali. Un ritardo da colmare, anche alla luce del fatto che tre persone su quattro, nel mondo, associano le parole “cibo” e “Italia”. Un'associazione che, pur presente nell'inconscio collettivo, spesso non guida le scelte di acquisto.
Dalla ricerca emerge, infatti, che solo un terzo dei consumatori, al momento della scelta, si sofferma sul marchio d'origine, mentre nel 65% dei casi i consumatori sono interessati a conoscere provenienza delle materie prime, processo di lavorazione e tracciabilità.
Che tipo di consumatori e produttori siamo?
In realtà non possiamo dimenticare che la ricerca “Future Consumer. Now” aveva un respiro internazionale e, anche per questa ragione, è interessante il confronto con i francesi. I loro prodotti, pur essendo in diretta competizioni con quelli italiani, sembrano godere di una minore considerazione in termini di tradizione e lifestyle.
Un vantaggio che, però, non è sufficiente, in quanto i consumatori, davanti allo scaffale, sono più attenti alla provenienza delle materie prime e della successiva filiera, arrivando quasi ad ignorare le sin troppo numerose etichette impresse sulle confezioni.
Anche per questa ragione, proprio partendo dai 15 archetipi di consumatori disegnati da EY, i produttori italiani sono sempre più chiamati a saper raccontare, e quindi valorizzare, i propri prodotti.
Una valorizzazione che non può prescindere dall'impiego delle tecnologie più innovative, come quelle legate ala Blockchain, seguendo un approccio che permette di tracciare i prodotti stessi e aumentare la credibilità sul mercato.
Al contrario, sempre secondo lo studio EY, le aziende non hanno ancora imparato ad analizzare il cliente. Al punto che solo il 42% delle realtà con un fatturato superiore a 50 milioni di euro studia davvero il comportamento dei clienti internazionali e solo la metà delle nostre aziende possiede strumenti in grado di certificare le filiere.