La biostampa (bioprinting) è un mercato globale in espansione. Le stampanti 3D per tessuti e organi hanno già un mercato da 2 miliardi di dollari. La previsione di crescita annua è del 12,5% fino al 2030.
Al momento sono utilizzate soprattutto da centri di ricerca e industrie specializzate in fase sperimentale. Tuttavia, a tendere, con l’abbattimento progressivo dei prezzi, saranno accessibili anche ai privati. Con tutti i problemi di regolamentazione, rischi di corretto utilizzo e possibili dilemmi etici.
Per capire opportunità, rischi e prospettive delle applicazioni sanitarie della stampa additiva abbiamo incontrato Marta Bertolaso, Responsabile dell'Unità di ricerca di Filosofia della Scienza e Sviluppo Umano dell’Università Campus Biomedico di Roma.
Come funziona la biostampa?
Qui entriamo nel vivo di un sistema ibrido tra fisiologia e tecnologia, in cui fisiologia e rappresentazione digitale e costrutti artificiali interagiscono tra loro per restituire un modello fisico tridimensionale.
La modellizzazione digitale avviene con le informazioni ricavate, per esempio, dalla risonanza magnetica (bidimensionale) e dalla biopsia del materiale biologico del paziente, per la costruzione di un modello tridimensionale. Quindi, la stampa additiva, informata dal software che trasmette in un file tutte le informazioni necessarie, consente di ricostruire la struttura organica del tessuto, osso oppure organo del paziente.
I materiali usati per il dispositivo finale, come ritorno alla fisicità di un modello digitale, sono inerti ma biocompatibili. Si tratta di biopolimeri detti “bioink”. In pratica, sono inchiostri biologici, cui vengono aggiunte cellule di linea o cellule di paziente. Finora la biomedicina aveva a disposizione solo modelli bidimensionali, ora invece può ricostruire perfettamente una struttura tridimensionale.
Cosa si può stampare per ora?
Al momento è possibile effettuare delle sostituzioni funzionali dei tessuti e ossa mancanti o danneggiati. I risultati migliori si ottengono con la stampa di cartilagine, per esempio dell’orecchio, che ha una struttura più semplice di quella della pelle. Per la pelle, infatti, sarebbe necessario riprodurre anche strutture come bulbi piliferi e ghiandole sebacee. Ad ogni modo, la stampa di cute ha una maggiore complessità. Di solito, è pensata in caso di ustioni e patologie correlate alla mancanza dello strato superficiale, sostituibile con tessuto riprodotto artificialmente. Il trapianto di organi funzionanti, invece, è ancora lontano. Lo è sia per gli studi sul rigetto, che comunque dovrebbe essere uno dei vantaggi della tecnologia del 3D dato l’utilizzo di cellule somatiche, sia per la complessità e le caratteristiche meccaniche di organi, come fegato o polmoni.
Quali scenari si aprono con la biostampa?
Si aprono scenari molto promettenti per la ricerca medica. C'è la possibilità di sostituire la sperimentazione sugli animali di nuovi farmaci e cosmetici con la stampa 3D di organi e tessuti, verificando le reazioni in vitro e personalizzando la medicina per tipologie di pazienti. E in vivo vedo scenari promettenti per la possibilità di sostituire tessuti danneggiati o mancanti con corrispettivi biocompatibili. Immaginiamo cute, cartilagine, ossa, ma anche valvole cardiache per cui ora si utilizza materiale animale. Pensiamo alla ricostruzione di un osso in via endoscopica, anziché alla classica ingessatura con tempi di recupero lunghi. Sono convinta ci sarà un’accelerazione nell’approvazione di queste tecnologie digitali applicate alla medicina, come valida alternativa all’impiego di animali che, al contrario, non necessariamente possono incontrare ancora il favore dell’opinione pubblica.
Che cosa manca per fare l’ultimo miglio?
Credo si debba creare una cultura del rischio consapevole in modo da generare consenso sociale. Bisogna favorire la costruzione di reti di sicurezza per accettarne le possibili conseguenze, e non rifiutare questi nuovi scenari della medicina per paura. In effetti abbiamo a che fare con materiale biologico, patrimonio genetico individuale che viene modellizzato e ingegnerizzato, i bioinchiostri per intenderci. Questo materiale potrebbe essere trafugato e utilizzato in modo non etico. Bisogna quindi prevenire i rischi di processi a cui, comunque, si arriverà, ma lavorando sulla consapevolezza e su forme di assicurazione dei rischi.