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Addio scrivania, è tempo di Smart Working

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Gaia Fiertler

Entro il 2024 il 70% delle nostre aziende potrebbe aver introdotto lo Smart Working con tutta la rivisitazione degli spazi e delle modalità di lavoro connesse. Tuttavia, ad oggi, solo il 10% delle nostre imprese, tra grandi e pmi, ha adottato forme strutturate, mentre la maggior parte non ha ancora affrontato l’argomento. È quanto emerge dalla ricerca di Infojobs sulla percezione e l’adozione del lavoro agile in Italia, considerate dal punto di vista delle aziende e dei lavoratori.

Le prime a far sparire la scrivania sono state multinazionali come Accenture e Microsoft. Con l’occasione del cambio di sede sono state pioniere dello Smart Working in Italia e non in forma “light”, con al massimo una giornata a settimana in remoto, che è ancora oggi la media più diffusa nelle aziende che hanno introdotto la possibilità del lavoro agile, regolato dalla legge 81/2017.

Loro, le grandi, hanno invece fin da subito previsto ampia autonomia nell’organizzazione del lavoro e, di conseguenza, un ripensamento concettuale e funzionale degli spazi lavorativi, con conseguente eliminazione delle scrivanie personali. Una rivoluzione che, tradotta, significa anche meno metri quadri calpestati, meno consumi, meno manutenzione, meno trasferimenti inquinanti, in pratica ottimizzazione dei costi a livello aziendale e sostenibilità ambientale.

L’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano ha stimato il 30% di risparmio a livello di costi aziendali, oltre al 15% di aumento di produttività dei dipendenti “agili”. Da questi calcoli promettenti sono nati uffici con isole e spazi comuni, punti di appoggio e scrivanie condivise, aree sociali per favorire lo scambio nei sempre più rari momenti insieme in azienda, nonché una evoluta strumentazione tecnologica, sempre a portata di mano, per collegare i propri device e organizzare riunioni volanti.

Tanto, ormai, sta tutto in una mano, collegato ai potenti server aziendali in modalità cloud. Uno degli interventi recenti più consistenti è stato quello di Maire Tecnimont nelle Torri Garibaldi di Milano: 5 milioni di euro di investimenti nel biennio 2018-2019, soprattutto in sicurezza, cablaggio e formazione per i 1.800 dipendenti della sede milanese, e un ripensamento complessivo degli spazi di lavoro, visto che il 20% degli uffici restava comunque inutilizzato, trattandosi di un tipo di attività svolto per lo più nei cantieri e dai clienti.

Invertendo le proporzioni, in Marie Tecnimont l’obbligo di presenza in ufficio è di un giorno alla settimana per non perdere il contatto con i team di lavoro e verificare l’avanzamento dei lavori.

Tra il dire e il fare

Non tutti i business però sono uguali e non tutte le realtà possono organizzarsi in modo agile, anche se qualche esperimento sta avvenendo anche in ambito produttivo grazie alle tecnologie avanzate di controllo in remoto, come nello stabilimento di Abb a Dalmine.
Ma, soprattutto, ciò che frena l’adozione estesa di questo nuovo modello lavorativo sono le abitudini quotidiane e la cultura organizzativa , che richiedono lo sforzo reciproco di superare, da parte di capi e collaboratori, l’abitudine mentale al comando e controllo e sviluppare invece l’abitudine all’autonomia, alla responsabilizzazione e all’orientamento verso obiettivi comuni.

Dall’ultima ricerca di Infojobs, la piattaforma on-line per la ricerca del lavoro, svolta su 173 aziende tra grandi e piccole e medie imprese e 1.800 lavoratori, risulta infatti che solo il 10% complessivo (trainato dalle grandi) avrebbe introdotto politiche strutturate di Smart Working, mentre per il 28% (neanche una su tre) soltanto in alcune aree, o con progetti pilota, ma senza una strategia aziendale integrata che accompagni il cambiamento organizzativo, mentre quasi due su tre (62%) non l’ha introdotto per nulla.

Il 35% sembra per mancanza di strutture adeguate e il 27% perché non lo ritiene utile per la produttività. Diversa invece l’opinione dei 1.800 candidati intervistati sul tema, che per lo più ritengono lo Smart Working non venga incoraggiato dalla propria azienda a causa del settore o della tipologia di business (46%), ma anche per una generale mancanza di abitudine a lavorare per obiettivi e in autonomia (18%).

Ad ogni modo, le aziende che sono favorevoli al lavoro agile spesso non l’hanno ancora adottato, ma contano di farlo nel corso di quest’anno (23%) o lo vedono come un traguardo perseguibile nell’arco di 3 anni (36%); o al massimo per il 2024 (11%). Per quasi una su due (47%), il primo aspetto che a tendere andrà riprogettato sono proprio gli spazi di lavoro: non ci saranno più le postazioni fisse dei dipendenti e ci saranno aree comuni dove ci si potrà sedere liberamente.

Questo porterà a una riduzione dei costi legati alle sedi visto che, per il 22%, sarà sufficiente appoggiarsi a spazi di co-working a ingresso libero. Solo per il 32% delle aziende non ci saranno sostanziali cambiamenti, visto che il tempo trascorso dai dipendenti in remoto sarà una quota minoritaria di quello trascorso in ufficio.

E se da un lato i dipendenti si dichiarano pronti a non avere più una scrivania fissa (68%), dall’altro indicano che mancherebbe loro uno spazio personale dove riporre documenti e tutto ciò di cui possono aver bisogno nel corso della giornata (40%), così pure la presenza rassicurante del vicino di scrivania con cui hanno condiviso per anni le giornate di lavoro (26%) e, ancora, gli oggetti e le foto dei propri cari (7%). Il lavoro racchiuso in un device sì, ma con abitudini e gesti quotidiani difficili da cambiare.

Il lavoro agile fattore competitivo di employer branding

Su una cosa, però, sono d’accordo dipendenti e datori di lavoro: il lavoro agile è visto come elemento differenziante dalle aziende, perché sempre più lavoratori lo guardano con interesse (lo pensa il 45% delle aziende) e, in alcuni casi, può essere un incentivo per attrarre nuovi talenti (40%).

Convinzione confermata dai candidati che, a parità di offerta remunerativa, ritengono lo Smart Working un fattore determinante nella scelta di un nuovo impiego (per il 45%) e, addirittura, nel 23% dei casi sono disposti ad accettare condizioni economiche meno favorevoli a fronte di questa opportunità.

Nonostante la bassa adesione fino a oggi, infatti, il lavoro agile è considerato per la quasi totalità delle aziende (94,5%) un vantaggio competitivo, perché migliorerebbe le condizioni dei dipendenti, la loro motivazione e inciderebbe positivamente sulla produttività, anche se non in tutti i settori.

 

Addio scrivania, è tempo di Smart Working - Ultima modifica: 2019-05-06T10:34:29+02:00 da Gaia Fiertler