Aziende pronte ad assumere per oltre l’80% anche nel 2025, se solo trovassero i profili con le competenze che cercano. Nel frattempo, intendono investire in programmi di formazione per i dipendenti (41%) e su misure di sviluppo e carriera per trattenere i talenti (40%).
Basteranno questi piani per superare il malcontento diffuso nella popolazione aziendale?
Hays Italia con il Salary Guide 2025 ha esplorato diverse dimensioni della condizione lavorativa in Italia, su un campione di un migliaio tra aziende e colletti bianchi.
Partiamo da stipendio e sviluppo professionale
Il 57% dei lavoratori ritiene di ricevere uno stipendio non adeguato alle proprie responsabilità, che meriterebbero di più. Pensa invece il contrario uno su tre (35%). Alla fine, però, la maggioranza non si lamenta della propria retribuzione (57%), ma oltre quattro su 10 restano insoddisfatti.
Solo il 37% prevede un aumento di stipendio nel 2025 e, tra chi l’ha ricevuto nel 2024 (48%), uno su tre ha dovuto cambiare azienda per avere una maggiorazione. Solo uno su 5, infatti, ha avuto un aumento grazie a un aumento del variabile per prestazioni personali e un altro 20% per una promozione.
Un altro fattore critico è che per la stragrande maggioranza (79%) non ci sarebbe trasparenza sulla definizione dei livelli salariali né sui criteri degli aumenti.
Quanto a un possibile avanzamento di carriera nel 2025, il campione si divide quasi a metà, con una leggera prevalenza dei no (53%). Così, sulle motivazioni che spingono a cambiare lavoro (vorrebbe farlo uno su due) la mancanza di opportunità e carriera è al primo posto (42%) e la retribuzione troppo bassa al secondo (36%). Seguono mancanza di formazione e sviluppo professionale al terzo (27%) e scarso rapporto con il proprio responsabile al quarto (24%).
Ma come stiamo sul posto di lavoro?
Una dimensione che i lavoratori iniziano a rivendicare è quella del benessere mentale sul posto di lavoro (92%). In particolare, per l’81% stare bene in ufficio, in equilibrio psico-fisico, impatta molto sulla propria produttività e “abbastanza” per il 18%.
Ma quanto si sentono supportati dall’organizzazione in questa dimensione? Poco il 37%, per niente il 26%, abbastanza il 33% e molto il 4%. Di fatto, per ora solo il 30% delle aziende offre iniziative, servizi e programmi per il benessere mentale dei propri collaboratori.
Il valore della conciliazione soprattutto per giovani e donne
Un’altra dimensione fondamentale è la flessibilità che consente una migliore conciliazione vita - lavoro. Oltre alla retribuzione, infatti, i lavoratori apprezzano i pacchetti di benefit (49%). Tra questi, al primo posto, apprezzano la flessibilità, compreso lo Smart Working (53%), seguita da auto aziendale (46%), assicurazione sanitaria (35%) e buoni pasto (33%). In realtà, quel 70% che riceve benefit usufruisce soprattutto di buoni pasto (65%), lavoro flessibile (51%), assicurazione sanitaria (49%) e, con un certo stacco, di auto aziendale (30%).
La mancanza di equilibrio tra lavoro e vita privata spinge maggiormente la GenZ (1997-2012) a cambiare lavoro (43%), mentre solo il 19% dei Millennials (1981-1996) e il 9% della GenX (1965-1980).
Come sottolinea Alessandro Rosina, professore di Demografia e Statistica sociale all’Università Cattolica di Milano, «non è vero che lo stipendio non sia importante per i giovani, ma si amplificano anche altre dimensioni, con nuove esigenze per il proprio benessere e progetto di vita. Più in generale, work-life balance, benessere mentale e formazione impattano su assenteismo, coinvolgimento, soddisfazione».

Randstad Workmonitor: si cambia lavoro per stipendi bassi, mancata conciliazione e clima “tossico”
Work-life balance e benessere mentale sono centrali anche nell’ultimo Randstad Workmonitor, realizzato in 35 Paesi con interviste a oltre 26mila persone, di cui 750 in Italia. Le prime ragioni per decidere di lasciare un posto di lavoro sono il basso stipendio (41%), la mancata conciliazione con la vita personale (40%) e un ambiente “tossico” (40%).
Il bisogno di comunità è fortemente legato all’esigenza di benessere (89%), espressa in modo chiaro dai lavoratori italiani. Il 57% sarebbe pronto a lasciare il posto attuale se non si sentisse a suo agio (30 punti in più rispetto a un anno fa). Così come il 42% non accetterebbe un nuovo lavoro se mancassero senso di comunità, appartenenza e cultura positiva.
Gli italiani sono più convinti degli altri che la forza della comunità influisca anche sul proprio rendimento (sopra la media europea e globale). Anche Il ruolo del manager è cruciale nella creazione dell’ambiente di lavoro e del senso di comunità. Il 64% dei lavoratori italiani ha un rapporto solido con il proprio responsabile e il 68% si sente più legato a lui che all’azienda. Il 45% darebbe le dimissioni in caso di frequenti disaccordi con il proprio manager.