Oggi i robot sono disponibili in tutte le forme e dimensioni. Tra questi i nanorobot, sistemi con dimensioni assimilabili a quelle molecolari, che possono compiere modifiche all'ambiente circostante in modo controllato e prevedibile. La nanorobotica è la disciplina che studia come realizzare macchine/robot in una scala prossima a quella nanometrica. Le applicazioni più perseguite sono quelle in ambito medico, principalmente per trasporto e deposito di farmaci in punti critici del corpo umano.
Ricerca sui DNA-Bots
Per realizzare “macchine” in scala da un miliardesimo di metro non si possono ovviamente usare i materiali con cui sono costituiti i normali robot. In alcuni centri di ricerca europei si stanno considerando i mattoni fondamentali della vita, i DNA, la cui caratteristica struttura a elica ha un diametro di solo due nanometri. Un esempio di ricerca avanzata di nanorobotica è quella sui DNA-Bots svolta all’Università di Roma. La ricerca prende spunto dal fatto sperimentalmente verificato che minuscoli spezzoni di DNA possono essere separati e variamente assemblati, quasi si trattasse di mattoncini Lego. Si ottengono così nanorobot “self-propelled” con comportamenti – si sostiene – prevedibili.
Progressi dei DNA-Bots
Per ora i DNA-Bots sono ben lontani dall'essere utilizzati nelle persone, ma i progressi sono incoraggianti, grazie anche a una particolare tecnica denominata DNA Origami. Con questa è già possibile ottenere una stringa di DNA da un virus e poi progettare tratti più brevi da accoppiare e modellare nella forma tridimensionale desiderata. Un esempio emblematico arriva dalla Danimarca, con un DNA Box con una specie di coperchio che si apre quando riconosce le proteine del cancro, rilasciando in situ frammenti di anticorpi. Quindi un giorno, superate le prove sperimentali, sarà possibile avere un DNA-Bot che, raggiunto un tumore, crea un legame e rilascia il suo carico precisamente dove serve la cura.
Mobilità
Ma uno dei principali problemi è quello della mobilità: i DNA-Bots sono troppo piccoli per “nuotare” nel flusso sanguigno del corpo umano. In laboratorio però è stato realizzato un DNA nanoswitch che rileva l’acidità del suo ambiente e che funziona anche come micromotore semovente. Il tutto grazie a un enzima che reagisce alle comuni molecole di ureasi del corpo umano, da cui una possibile fonte di energia per il movimento dei DNA-Bots del prossimo futuro.