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Dal trattenere i giovani talenti ad usare l’AI generativa nei luoghi di lavoro: le nuove 4 sfide HR

Ripensare sistemi organizzativi, tempi e modi del lavoro, valori e purpose per diventare più attrattivi verso i profili più richiesti dal mercato: esperti digitali, manager dell’innovazione e tecnici specializzati. Le analisi della nuova edizione dell’Osservatorio HR Innovation Practice e i vincitori degli HR Innovation Award: Sace, Saipem, Barilla e Sky.

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Gaia Fiertler

Sono quattro le sfide da affrontare per gli HR manager, analizzate e discusse dall’Osservatorio HR Innovation practice della School of Management del Politecnico di Milano, nell’edizione 2024 “Navigare nell’incertezza del futuro del lavoro. Benessere e AI all’orizzonte”.

Le quattro sfide sono:

  1. persistente carenza di profili professionali sul mercato e difficoltà a essere attrattivi (“Talent shortage”)
  2. dimissioni volontarie e ricerca di un nuovo lavoro (“Great resignation”)
  3. diffuso malessere fisico e mentale
  4. AI generativa e reskilling.

Caccia a profili digitali ed esperti AI, tecnici per l’industria e la logistica

Quasi una su due le aziende dichiarano di voler ampliare il proprio organico (42%), ma 9 su 10 (88%) sono in difficoltà a trovare il profilo giusto. Chi per mancanza di competenze tecniche (57%), chi per mancanza di soft skill (36%), come la capacità di lavorare in gruppo e il problem solving.

Sempre alto il fabbisogno di tecnici specializzati nel Manufacturing e nella Logistica, ma i profili più critici sono IT & Data manager e Innovation manager.Raddoppiano anche le aziende che cercano esperti di Intelligenza artificiale e machine learning e che investono in percorsi formativi, passate dal 25% al 54%. Infatti il 62% ha iniziato a sperimentare applicazioni di Gen AI a supporto delle attività lavorative. Anche se solo il 12% con un approccio strutturato e linee guida per un utilizzo corretto.

In particolare, il 32% utilizza almeno uno strumento nella Divisione HR, soprattutto Chatbot/assistenti virtuali per attività amministrative; sistemi di elaborazione del linguaggio naturale per lo screening dei CV e sistemi di recommendation per personalizzare i percorsi formativi.

Cos’è davvero attrattivo oggi per i giovani?

La maggioranza delle aziende ammette un aumento di rifiuti da parte dei candidati durante le selezioni (54%) e dimissioni di neoassunti dopo pochi mesi (17%).

I fattori su cui non si transige (i “must have”) sono retribuzione adeguata, contratto sicuro, opportunità di crescita e buon clima aziendale. Le richieste emergenti sono sempre più flessibilità e libertà negli orari e luoghi di lavoro e interventi formativi che garantiscano l’occupabilità nel tempo (“employability”). Soprattutto i più giovani (Generazione Z) cercano benessere fisico e mentale, come pure inclusione e attenzione alla sostenibilità ambientale e sociale (questi ultimi due “nice to have”). Sembrano invece meno interessati delle generazioni precedenti (Millennial, Gen X e Baby boomer) al pacchetto retributivo e ai benefit.

Martina Mauri

Non basta però avviare progetti ESG, serve anche coinvolgere i collaboratori in queste iniziative sociali e ambientali per farli sentire più coinvolti. C’è infatti un diffuso malcontento nelle aziende, tanto che il 42% ha già cambiato o ha intenzione di cambiare azienda. La percentuale sale al 65% negli under 27 (Gen Z) con competenze informatiche e digitali. Tuttavia, nella maggioranza dei casi, dopo un anno dichiarano di essere pentiti di aver cambiato azienda (56% nel 2024, +15% rispetto al 2023).

Cresce dunque anche il fenomeno di “Great Regreat”, che dimostra non essere più un problema di singola azienda, ma di approccio organizzativo e valoriale disallineato alle nuove aspettative dei lavoratori.

«Per rispondere alle esigenze delle persone è cruciale progettare nuovi modelli organizzativi incentrati su un purpose capace di dare al lavoro un nuovo significato. Ad esempio, attraverso l’impegno nella sostenibilità: la percentuale di felici al lavoro sale al 24% (dal 5% generale) nelle aziende in cui le persone sono coinvolte in iniziative sostenibili. Inoltre, per rispondere ai cambiamenti del mercato del lavoro attuale, l'intelligenza artificiale può essere un alleato prezioso.

Da un lato può mitigare il problema della mancanza di personale automatizzando compiti ripetitivi e riducendo la dipendenza da competenze specialistiche. Dall’altro, può contribuire a ridisegnare ambienti organizzativi, migliorando il benessere e rendendo le organizzazioni più attrattive», suggerisce Martina Mauri, Direttrice dell’Osservatorio HR Innovation Practice.

Azioni di contrasto al talent shortage

In generale le imprese stanno potenziando e diversificando i canali di recruiting (57%) e si stanno affidando a società specializzate (45%). Quindi fanno orientamento nelle scuole (40%) per far conoscere ai giovani le opportunità professionali e i nuovi mestieri, pari merito con l’aumento dei salari.

Per rendersi più attrattivi offrono anche più flessibilità di orario e luogo di lavoro (39%) e organizzano più attività con impatto sociale e ambientale (36%).

In particolare, le aziende con una strategia formalizzata per acquisire le competenze di cui hanno bisogno (27%) puntano su flessibilità (1 su 4 i candidati verificano l’attenzione alla gestione vita privata-vita lavorativa), sostenibilità, agenzie specializzate per trovare profili verticali IT e metodologie innovative per l’employer branding.

Le principali cause di dimissioni volontarie

Le cause principali del perdurare delle dimissioni volontarie sono la ricerca di benessere fisico e/o mentale (36% in aumento), una migliore retribuzione (35% in calo) e più opportunità di crescita (24% in aumento).

Mariano Corso

Di fatto i “Quit Quitter” sono stabili al 12%, quelli non ingaggiati che fanno il minimo indispensabile, mentre i “Job Creeper”, chi non smette mai di lavorare, con l’ansia da prestazione, sono più che raddoppiati in un anno, 13% versus 6%. Questa si può considerare una conseguenza della mancato equilibrio tra lavoro e vita privata, che invece è richiesto a gran voce con la domanda di benessere fisico e mentale.

Inoltre, per crescita oggi non si intende solo la classica carriera verticale, bensì la possibilità di uno sviluppo orizzontale, partecipando a progettualità diverse, provando, sperimentando e acquisendo competenze in più funzioni e team per garantirsi una maggiore occupabilità nel tempo.

«Il mondo del lavoro negli ultimi anni è stato interessato da una vera e propria rivoluzione e la ricerca del “vivere bene” è una risposta alle incertezze emergenti. Se in passato il lavoro era il centro delle aspirazioni e dei progetti di autorealizzazione per crescere anche di ruolo e status sociale, ora la fragilità del futuro sembra spingere le persone soprattutto a stare bene “qui e ora”.

Nel lavoro si cerca un benessere economico e mentale, in cui la flessibilità nei tempi e luoghi è fondamentale. È necessario quindi ripartire dalle basi per costruire un nuovo approccio al lavoro orientato alla felicità, che preveda insieme giusto riconoscimento, flessibilità, work-life balance, inclusione, valorizzazione, employability”», spiega Mariano Corso, Responsabile scientifico dell’Osservatorio HR Innovation Practice.

Felicità e lavoro, binomio possibile?

Da un’indagine svolta con Bva Doxa, solo il 16% dei lavoratori ritiene di ricevere il giusto riconoscimento dalla propria organizzazione. Il riconoscimento economico è alla base di un lavoro buono e sostenibile, secondo la piramide della felicità presa a modello dall’Osservatorio HR. Gli aspetti più critici sono indicati infatti nel non ricevere riconoscimenti in modo meritocratico, con le donne come le più svantaggiate.

Salendo nella piramide, solo il 9% si sente in una condizione di Wellbeing, con le aree più critiche individuate nel benessere fisico e psicologico (meglio la dimensione relazionale), soprattutto da Millennial e Gen X. Proseguendo, il 18% ritiene di avere un buon equilibro tra vita e lavoro e flessibilità , mentre la maggior parte lamenta la mancanza di servizi a supporto del Work-Life Balance, soprattutto la Gen Z e le donne. Proseguendo nella piramide, solo il 16% si sente pienamente incluso e valorizzato nel contesto organizzativo. Per il resto si segnala che non ci sarebbero per tutti le medesime opportunità né valorizzazione dei punti di forza, proprio a causa dell’età, sia negli under 30 sia negli over 50.

Il 28% si sente occupabile (employable), mentre soprattutto i baby boomer più vicini all’uscita non si sentono sostenuti nello sviluppo di nuove attività e/o competenze. Infine, in cima alla piramide, solo il 5% si sente felice al lavoro, secondo le tre dimensioni di ingaggio completo, legame affettivo e soddisfazione per il lavoro svolto. 

Per avere un impatto positivo sull’organizzazione si può partire dal migliorare le componenti che rendono un lavoro buono e sostenibile secondo la piramide della felicità (giusto riconoscimento, wellbeing, flessibilità ed equilibrio vita-lavoro, inclusione e valorizzazione, occupabilità, ingaggio, legame e soddisfazione).

Ma anche agire sul purpose aziendale con un coinvolgimento attivo delle persone può portare benefici all’organizzazione, in modo sinergico alla prima strategia. Infatti, dove c’è un approccio al lavoro buono e sostenibile, coinvolgimento attivo e formazione continua, si registra un aumento di chi sarebbe felice al lavoro. Si passa infatti dal 5% al 24%: aumenta la capacità di ingaggiare le persone, di aggiornare le competenze interne, di non perdere risorse e di attirare nuovi profili.

L'AI generativa al lavoro

L’Osservatorio quest’anno ha indagato anche barriere, rischi e opportunità dell’AI generativa in azienda, secondo la percezione aziendale e quella dei lavoratori. Le aziende si sentono ancora poco digitali e senza le competenze necessarie per sviluppare il potenziale della nuova generazione di Intelligenza artificiale.

Proprio per questo, il 27% cerca esperti in machine learning e AI e il 20% inizia a investire nello sviluppo interno con attività di upskilling e reskilling (era il 13% lo scorso anno), oltre a un 7% affidato in outsourcing.

Il punto di vista dei lavoratori sull’AI

I lavoratori invece temono l’impoverimento delle relazioni interpersonali, rischi per la protezione dei dati e possibili risposte non veritiere (“allucinate”) da parte degli algoritmi. Al tempo stesso, ritengono che già un quarto delle attività potrebbe essere svolto con il supporto dell’AI generativa. Questa infatti impatta anche sui lavori creativi, analitici e di scrittura basati sul linguaggio naturale, che rivestono il 62% delle attività aziendali.

Gli intervistati non temono tanto di perdere il lavoro (12%), ma che diventi più precario (26%) o che perdano rilevanza le proprie competenze (22%). I più ottimisti vedono invece nell’AI generativa un’alleata per svolgere meglio il lavoro (29%), sviluppare nuove competenze (23%) e lavorare meno (21%) a parità di stipendio. In ogni caso i lavoratori (65%) vorrebbero frequentare corsi per comprendere meglio i possibili impatti positivi e negativi dell’AI generativa sul proprio lavoro.

Quanto all’uso, per ora uno su quattro (26%) ha utilizzato soluzioni di AI generativa nell’ultimo anno, e pochi in maniera continuativa (solo il 3% ogni giorno e il 7% un paio di volte a settimana). Inoltre viene usata soprattutto per la ricerca di informazioni (31%), per le traduzioni in altre lingue (21%), per la revisione di testi (21%) e per riassunti di manuali e video (19%). È dunque un utilizzo ancora sottodimensionato: analisi e previsioni sono ancora solo al 17% e simulazione di scenari al 14%. La maggioranza (52%) dichiara invece di non averla mai usata e che non sia neppure applicabile al proprio ambito lavorativo.

La visione dell’HR sulla GenAI

A sua volta per l’HR, il principale impatto di soluzioni AI nei prossimi 5 anni sarà l’evoluzione di ruoli e competenze, più che riduzione dell’organico. Secondo il 62% la diffusione dell’AI generativa porterà a un arricchimento di competenze e per il 34% una riqualificazione di ruoli in declino. In questa prima fase, però, si stanno raccogliendo dati: il 17% sta effettuando indagini interne sull’impatto dell’AI generativa, il 25% ha in programma di farlo nei prossimi mesi.

Per affrontare i cambiamenti di ruoli e competenze, sono previste soprattutto azioni di formazione: nel 2024 il 33% delle aziende potenzierà i percorsi di upskilling e il 28% introdurrà per la prima volta percorsi di reskilling. A fianco, stanno emergendo innovazioni di processi e modelli: il 43% delle aziende automatizzerà attività e processi ripetitivi e standardizzabili, il 39% rivedrà il modello organizzativo per favorire la condivisione e lo sviluppo delle competenze, il 25% introdurrà o potenzierà l’utilizzo di strumenti digitali avanzati per eseguire compiti per cui internamente non avrebbero le competenze necessarie.

«Alla fine, l’AI potrebbe diventare un’alleata preziosa per rispondere proprio alla sfida del talent shortage e per progettare nuovi modelli di lavoro che riducano i carichi di lavoro, favorendo il benessere e rendendo le aziende più attrattive», conclude Mauri.

I vincitori degli HR Innovation Award 2024

I vincitori di quest’anno sono Sace, Saipem,  Barilla e Sky, mentre Allianz riceve l’HR Innovation Impact Award. È un premio previsto per aziende già premiate in passato, che hanno saputo innovare nel tempo il progetto iniziale. In questo caso si tratta di una piattaforma di e-learning che, grazie all’applicativo “4ALL 2023 - Learn to Win”, ha aumentato l’ingaggio dei collaboratori e le ore di formazione pro-capite. Con meccanismi di gamification, infatti, si è incentivata la fruizione di contenuti, stimolando lo sviluppo di un mindset di formazione continua e orientato alla sostenibilità.

Nella categoria “Le potenzialità dell’AI in ambito HR”, Sace vince per l’introduzione di uno strumento digitale, basato su AI, che permette di gestire la propria carriera in azienda, con una panoramica sull’evoluzione delle competenze e suggerendo percorsi per colmare i gap formativi.

Nella categoria “Edtech: le opportunità della formazione in digitale”, Saipem vince per l’adozione di tecnologie digitali innovative, tra tutte la realtà virtuale, per rendere replicabili le attività formative sull’utilizzo di macchinari ad alta complessità, creando condizioni di maggiore sicurezza e ottimizzazione dei costi.

Nella categoria “Costruire una nuova employee experience per rispondere ai bisogni delle persone”, Barilla viene premiata per il progetto “OneHR”, che centralizza e semplifica tutti i processi HR su una singola piattaforma in Cloud. L’iniziativa ha consentito di migliorare la governance e la tracciabilità delle informazioni, ottimizzando l’esperienza utente nella fruizione dei processi HR.

Sky viene premiata per un progetto che punta a guidare l’azienda verso un nuovo modello operativo, con ampi programmi di upskilling e reskilling per valorizzare l’employability nel tempo di tutto il personale.

Dal trattenere i giovani talenti ad usare l’AI generativa nei luoghi di lavoro: le nuove 4 sfide HR - Ultima modifica: 2024-05-23T15:39:22+02:00 da Gaia Fiertler