Il Change management è ormai un processo strategico per un’azienda su due. Strumentale all’execution per un quarto, tattico solo per l’11% e assente o marginale per un residuale 8%. Più il processo è strutturato, più aumentano le probabilità di successo dei progetti che, tuttavia, nel 43% dei casi ancora non raggiungono i risultati attesi.
Le principali condizioni di successo sono un forte impegno da parte del management, la comunicazione e il coinvolgimento della forza lavoro fin dall’inizio, il monitoraggio, la misurazione e la condivisione dei risultati anche parziali.
Sono i risultati della XI edizione dell’Osservatorio sul Change Management in Italia, promosso da Assochange in collaborazione con il Politecnico di Milano. 110 le organizzazioni coinvolte, di cui 65% grandi imprese, 20% medie imprese e 15% piccole imprese. Il 24% opera nei servizi, il 21% nel manifatturiero, il 16% nella PA e il resto in altri ambiti come tecnologia e finanza.
Le resistenze al cambiamento

Le principali difficoltà a raggiungere gli obiettivi di Change sono la resistenza culturale al cambiamento (40%) e una comunicazione interna non adeguata, che limita il coinvolgimento dei dipendenti. Inoltre, il 27% delle imprese segnala una carenza di supporto da parte della leadership. D’altronde, le aziende che hanno successo dicono di adottare un approccio integrato.
Queste aziende coinvolgono i collaboratori fin dall’inizio, utilizzano strumenti digitali per monitorare i progressi e investono in formazione mirata. I dati rivelano che il coinvolgimento precoce dei lavoratori aumenta del 30% le probabilità di successo, grazie a una strategia inclusiva e partecipativa.
«Il Change non è mai un processo lineare e richiede un mix di strategia, capacità di adattamento e un’attenzione particolare alle persone. Solo un approccio olistico, che integri tecnologia, competenze e cultura aziendale, può garantire il successo delle trasformazioni future», commenta Moira Masper, presidente di Assochange.
I driver di cambiamento: innovazione tecnologica e digitale
Ciò che spinge a cambiare è principalmente l’innovazione tecnologica e la trasformazione digitale, ormai al primo posto da qualche anno: 52% nel 2024 e continua a crescere (63% nel 2025). L’ottimizzazione dei costi resta al secondo posto anche per il 2025 (32%), pur calando da quest’anno (41%). Si rinforza invece il tema delle competenze da mantenere competitive (28% l’anno prossimo rispetto all’attuale 22%).
All’interno della trasformazione digitale, l’implementazione dell’Intelligenza artificiale (AI) è per oltre la metà dei manager tra le principali sfide (48%), se non la prima (5%). Risulta invece come una sfida, ma non prioritaria, per uno su tre (33%).
AI in fase di sperimentazione
Oltre due su tre stanno impiegando o meglio sperimentando gli effetti di progetti pilota di AI e GenAI su particolari attività e ruoli (70%).
Per il 18% l’Intelligenza artificiale è invece lasciata all’uso individuale, senza interventi formativi o di contesto.
Solo l’8% sta rivedendo organizzazione e ruoli in base alle soluzioni di AI. Soltanto il 3% sta ripensando il proprio business o il tipo di servizio erogato in relazione alle opportunità delle nuove tecnologie.
Vengono comunicati soprattutto gli obiettivi, come motivazioni e finalità (62%). Quindi l’impatto che l’AI avrà sul lavoro quotidiano, come le competenze richieste e l’evoluzione dei ruoli (42%), insieme alla formazione disponibile (41%). In misura minore l’andamento dei progetti (26%) e i vari benefici legati agli aumenti dei ricavi e/o lancio di nuovi prodotti e servizi (23%) e alla riduzione dei costi (22%).
Tecnologie e Generazione Z
L’accoglienza di strumenti di AI e GenAI è più positiva da parte dei giovani, la Generazione Z. L’80% ha un atteggiamento positivo versus il 38% della media aziendale ed è neutrale un 19% contro 53% dei più senior.
Anche come preparazione i nativi digitali superano di gran lunga tutti gli altri colleghi: 83% tra molto e abbastanza preparati, contro il 44% medio. I giovani sono quindi un’opportunità da non sottovalutare per innovare le imprese.
E in effetti il 45% delle aziende riconosce loro un atteggiamento propositivo verso il cambiamento, ma spesso ne sotto-utilizzano il potenziale. Le new entry in azienda sono più inclini ad accettare e promuovere nuove iniziative. A loro volta chiedono trasparenza e un approccio collaborativo che integri valori come sostenibilità e innovazione sociale.