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Quale energia per il futuro?

L’incidente nucleare di Fukushima ha accelerato, in molti Paesi, l’abbandono del nucleare, ma servono fonti in grado di garantire la necessaria stabilità alla rete di distribuzione

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Massimiliano Cassinelli
Con la ripresa economica, sono tornate a crescere le emissioni di anidride carbonica, colpevoli del cosiddetto 'effetto serra'. Un fenomeno indicato come la principale causa dell’innalzamento della temperatura media della Terra e che, secondo quanto stabilito nel vertice di Cancun dello scorso dicembre, i 'grandi Paesi' si erano impegnati a contenere entro una crescita massima di 2°C.
Un obiettivo che, a questo punto, appare difficile da raggiungere, considerando le rilevazioni dell’Iea (Agenzia internazionale dell’energia) secondo cui, nel 2010, le emissioni di biossido di carbonio sono state “le più alte della storia”. Le stime indicano infatti che sono state prodotte 30,6 miliardi di tonnellate equivalenti di CO2, in crescita del 5% rispetto all'anno precedente. Viene così ampiamente superato il record raggiunto nel 2008, quando le emissioni furono pari a 29,3 miliardi di tonnellate.
Preoccupante il commento di Fatih Birol, capo economista dell'Iea, secondo il quale “ci avviciniamo già oggi al limite che, invece, dovrebbe essere raggiunto nel 2020”.
Poco dopo l’analisi dell'Aie è stato diffuso un nuovo studio, promosso dall’Università di Miami, dall'Istituto australiano di scienze marine e dall'Istituto tedesco di microbiologia marina Max Planck, secondo il quale la progressiva acidificazione delle acque degli oceani, unita all’aumento della temperatura, potrebbe portare all’estinzione di alcune specie alla base della catena alimentare e compromettere le capacità di recupero degli ecosistemi delle barriere coralline.

Meno nucleare, più anidride

Si tratta di dati allarmanti che, nel breve periodo, difficilmente potranno essere invertiti. Lo sviluppo dei Paesi emergenti e, contemporaneamente, la difficoltà nel ridurre i consumi interni dei Paesi più industrializzati, porteranno infatti un’ulteriore richiesta di energia. A cui seguirà, necessariamente, una crescita di emissioni. Le energie alternative, pur rappresentando una grande opportunità per il futuro, al momento contribuiscono solo in minima percentuale al fabbisogno energetico mondiale.
Allo stato attuale, la maggior parte dell’energia utilizzata a livello mondiale proviene ancora da fonti fossili e, come rivela lo studio Aie, le emissioni di anidride carbonica in atmosfera sono imputabili per il 44% al carbone, per il 36% al petrolio e per il 20% al gas naturale.
Sul fronte delle emissioni di CO2, inoltre, la situazione potrebbe subire ulteriori peggioramenti a seguito della decisione, sinora già sottoscritta da Germania e Svizzera, di interrompere il funzionamento delle centrali nucleari. Impianti che, malgrado i rischi immediati per la popolazione, hanno il vantaggio di minimizzare le emissioni di anidride carbonica.
Lo scorso 25 maggio, il governo elvetico ha ufficializzato la decisione di rinunciare alla costruzione di ulteriori centrali nucleari. Un provvedimento atteso dopo che, già a marzo, erano state sospese le procedure di approvazione di tre nuovi impianti. La decisione, però, non avrà effetti immediati, in quanto le attuali centrali rimarranno operative sino al termine del proprio ciclo produttivo. In pratica, quindi, l’impianto più vecchio cesserà di funzionare nel 2019, mentre la struttura più recente rimarrà in attività sino al 2034. Un tempo relativamente lungo, che permetterà di individuare fonti alternative o, come auspicano i fautori del nucleare, di trovare soluzioni totalmente sicure.
Più drastica, al contrario, la posizione della Germania, dove la cancelliera Angela Merkel, pressata anche da esigenze elettorali e a pochi giorni dalla decisione svizzera, ha annunciato che, entro il 2022, verranno spente tutte le centrali nucleari tedesche. Una decisione importante, in considerazione del fatto che, attualmente, il 23% dell’energia del Paese proviene proprio da questa fonte. Il progetto prevede, entro la fine dell’anno, di fermare definitivamente gli otto reattori più vecchi, che producono 'solo' 8,5 GW, rispetto ai 920 GW di origine nucleare. Successivamente, ed in maniera progressiva, verranno disattivati altri sei impianti. Infine le ultime tre centrali, le più moderne, rimarranno attive sino al 2022.
Come per il vicini elvetici, l’obiettivo è quello di concentrare gli investimenti sulla ricerca di fonti alternative, che garantiscano l’energia necessaria al sistema industriale e civile, senza incidere sulla competitività economica.

Una rete sotto controllo

In Italia, fallito il sogno nucleare, mancano ancora adeguate politiche energetiche e gli stessi incentivi alle fonti rinnovabili sembrano non garantire le condizioni necessarie per uno sviluppo adeguato. Il principale problema, in questo ambito, è rappresentato dalla stabilità. Solare ed eolico, pur preservando l’atmosfera, non offrono le indispensabili garanzie di continuità. Sulla scorta di uno dei principi base dell’elettrotecnica, infatti, la quantità di energia assorbita dagli utilizzatori di una rete elettrica deve essere compensata, istantaneamente, da un’analoga quantità immensa dalle differenti fonti. Ogni scostamento rispetto a questa esigenza comporta, necessariamente, disfunzioni, che possono andare da variazioni della tensione a improvvisi distacchi delle forniture.
Le tecnologie di automazione saranno quindi determinanti nell’ottimizzazione dei processi di gestione delle moderne smart grid, che ricevono energia da fonti sempre più svariate e imprevedibili. Attualmente, alla rete elettrica italiana sono collegate 425mila stazioni di trasformazione, meno del 25% delle quali automatizzate. Con il crescere degli impianti di microgenerazione, sarà fondamentale disporre di un sistema capace di intervenire, in tempo reale, per coordinarne il funzionamento e garantire la stabilità. In caso contrario le perturbazioni si ripercuoteranno, in modo drammatico, sulla qualità dell’energia erogata, con disagi e guasti difficilmente prevedibili.

Manca un piano concreto

Gli investimenti in energie alternative devono confrontarsi con il fatto che nuvole e vento non possono essere gestite in funzione delle esigenze del mondo civile e industriale. Per tale ragione, nei prossimi anni, sarà ancora necessario affidarsi alle soluzioni tradizionali, le uniche attualmente in grado di garantire la continuità e la flessibilità indispensabili per un sistema di distribuzione reale. Nell’immediato occorrerà quindi investire sull’efficienza delle centrali esistenti, sfruttando moderne tecnologie di automazione e innovativi sistemi per contenere le emissioni di anidride carbonica.
Un processo nel quale, negli ultimi anni, sono state realizzate importanti innovazioni con la cosiddetta Carbon Capture And Storage (Ccs), che permette di intercettare e immagazzinare nel sottosuolo l’anidride carbonica. Una tecnologia che, però, non è apparsa sufficiente al Consiglio di Stato che, lo scorso maggio, ha bocciato il progetto della nuova centrale a carbone di Porto Tolle, in provincia di Rovigo, considerato non compatibile con le esigenze ambientali. Nelle intenzioni di Enel l’impianto a carbone, che avrebbe sostituito l’olio combustibile bruciato in precedenza, avrebbe permesso, proprio grazie alle nuove tecnologie, di ridurre le emissioni di CO2 in atmosfera.
Senza entrare nel merito della decisione e delle reali valutazioni di impatto ambientale, una simile realizzazione avrebbe contribuito a contenere il costo dell’energia in Italia.
Ma, soprattutto, avrebbe creato un’alternativa all’utilizzo del gas, contenendo così la nostra dipendenza energetica da Paesi caratterizzati da una notevole instabilità. Nelle centrali italiane, infatti, viene bruciato gas fornito soprattutto da Russia, Libia e Algeria: Paesi socialmente instabili, con tutti i rischi connessi alla garanzia di fornitura. Il carbone, al contrario, viene estratto anche in Europa, offrendo così maggiori garanzie di approvvigionamento.

Stabilità a rischio

La necessità di garantire la stabilità della rete elettrica viene trascurata dai politici, troppo spesso impegnati in sterili dibattiti pubblici. Momenti in cui la difesa di posizioni ideologiche porta a trascurare il futuro di un Paese e la sua competitività a livello internazionale. Un rischio che, al contrario, viene preso in seria considerazione dall’Agenzia federale tedesca delle reti. L’ente incaricato di gestire le reti elettriche, del gas e delle tlc, alla luce dell’improvvisa chiusura delle centrali nucleari, ha infatti rimarcato che "la situazione resta sotto controllo durante il semestre estivo, ma l'autunno e l'inverno saranno segnati da tensioni". Il rischio, infatti, è che la produzione possa non soddisfare le richieste, mettendo in crisi l’intero sistema di distribuzione.

Quale energia per il futuro? - Ultima modifica: 2011-07-13T14:49:59+02:00 da La Redazione