L’Osservatorio Assochange 2025, in collaborazione con il Politecnico di Milano, evidenzia i vantaggi di un approccio proattivo al cambiamento e le pratiche organizzative dei cosiddetti “Top Performer” e “Good Performer”.
Grazie a un approccio proattivo (16%), la percentuale di successo dei progetti supera l’80% degli obiettivi prefissati per il 27% delle aziende rispetto una media del 20%. Arriva al 40% la percentuale di chi realizza gli obiettivi tra il 60-80% (contro il 31%).
Ma cosa fanno di diverso o meglio le aziende proattive e quelle che affrontano il cambiamento in modo integrato e strutturato (rispettivamente 24% e 21%), rispetto a quelle che si limitano a reagire (18%) o lo affrontano in via sperimentale con iniziative isolate (21%)?
Le pratiche organizzative vincenti: coinvolgimento, comunicazione e monitoraggio
Di sicuro le aziende proattive coinvolgono le persone in maniera strutturata fin dalle prime fasi di pianificazione del progetto (con un punteggio di 8,1 rispetto al 6,7 della media e al 5,6 dei Low Performer in una scala da 1 a 10). Sviluppano un piano di comunicazione per informare le persone e ridurre paura e resistenza al cambiamento (7,6 contro la media di 6,7 e 5,6 dei Low Performer).
La capacità di coinvolgere e ingaggiare i collaboratori è, tra l’altro, tra i primi tre fattori di successo, insieme alla sponsorship della direzione e all’approccio metodologico. Proprio la mancanza di una comunicazione interna efficace è invece tra i fattori di insuccesso, insieme allo stile di leadership e all’assenza di cultura inclusiva e aperta al cambiamento.
Coerentemente, nelle aziende Top Performer c’è una partecipazione sistematica della funzione Comunicazione (58% contro il 33% della media) e del team di Change Management per accompagnare le fasi di trasformazione (58% versus 41%).
Anche rispetto al monitoraggio, e quindi agli aspetti metodologici su tempi, costi, ROI, ingaggio dipendenti, cambiamento culturale/adozione delle nuove tecnologie, i Top Performer controllano tutte le metriche considerate. Utilizzano di più sia sistemi di analisi tradizionale, sia dashboard con funzionalità avanzate che, da un lato, integrano KPI quali-quantitativi, dall’altro fanno previsioni sulle performance e fanno benchmark.
Le motivazioni al cambiamento
Come motivazioni al cambiamento la trasformazione digitale e l’innovazione tecnologica sono e resteranno al primo posto, insieme all’ottimizzazione dei costi al secondo.
Il cambiamento nelle esigenze dei clienti salirà al terzo posto dal quinto. L’evoluzione delle competenze per mantenere la competitività aziendale salirà al quarto posto dal sesto.
Benessere e inclusività oggi al terzo posto (anche come effetto degli anni del Covid) invece perderanno di interesse e scenderanno al quinto.
I progetti di AI ancora in via sperimentale
Il 2025 è stato l’anno della sperimentazione dell'AI, dei progetti pilota, dopo che nel 2024 l’intelligenza artificiale era stata definita come una delle principali sfide per oltre metà del campione. E ora?
Un 30% non ha ancora affrontato il tema né a livello tecnologico né organizzativo, mentre per il 28% è una progettualità in fase avanzata. Per un buon 43% è ancora in fase sperimentale.
Solo un 27% dichiara infatti di averla inserita in una strategia definita e condivisa, con obiettivi chiari, una governance strutturata e investimenti coordinati. Il 46% parla di un parziale coordinamento tra funzioni, ma non c’è ancora una strategia definita. Per il 27% si tratta ancora di iniziative isolate, per lo più su singole persone o team. Manca un allineamento tra persone, funzioni e obiettivi condivisi.

"Bisognerebbe cercare di andare oltre la produttività individuale e scalare dai singoli all’organizzazione, incasellando la tecnologia in una strategia più ampia, mettendo a fattor comune i diversi risultati e ripensando al tempo stesso processi e competenze", commenta Martina Mauri, direttrice dell’Osservatorio HR Practice del Politecnico di Milano.
Il Premio Assochange 2025 conferito a Saipem
Il Premio Assochange 2025 viene conferito a Saipem proprio per avere intrapreso un percorso di evoluzione verso una “data-driven company”, affiancando all’adozione tecnologica un forte impegno nel coinvolgimento delle persone con il progetto “Master Data Management”.
"Si tratta di un cammino ambizioso, tra geografie e stakeholder differenti. Testimonia una visione organizzativa solida, sostenibile, inclusiva e orientata al futuro", spiega Daniele Cantore, presidente di Assochange.
L'AI Paradox: promesse non ancora mantenute
In questo contesto frammentato e sperimentale, solo il 4% delle aziende supera l’80% dei risultati attesi, in linea con diverse ricerche internazionali. Il 21% raggiunge gli obiettivi tra il 60-80%, il 18% tra il 40-60%, il 21% tra il 20-40% e il 16% meno del 20%.
In sostanza, una su quattro è parzialmente soddisfatta, mentre un 20% non pone neanche obiettivi da misurare. Per questa fascia di aziende, l’AI sarebbe un semplice tool, magari un upgrade di Office per migliorare la produttività individuale. Non si valorizza però il suo potenziale a livello organizzativo e strategico.
Nel complesso, i progetti legati all’AI presentano una più scarsa maturità rispetto a quelli di cambiamento in generale, nei quali il 20% supera l’80% degli obiettivi (e non solo il 4%); il 31% tra 60-80%; il 29% tra il 40-60% e solo il 4% non li misura.
"Siamo di fronte all’AI Paradox: grazie all’AI si riducono i tempi, ma nei bilanci non si registrano ancora risultati. Sul fatto che l’AI crei o meno valore c’è molta discussione. Noi crediamo che molto dipenderà dal ripensamento dei processi e delle mansioni e, quindi, da una People Strategy con riqualificazione delle competenze, coinvolgimento e comunicazione affinché un progetto di trasformazione porti anche risultati al business", spiega Mariano Corso, responsabile scientifico Osservatorio HR Practice Politecnico di Milano.
Le pratiche vincenti dei Good Performer nell’AI
Le aziende Good Performer, che hanno raggiunto almeno il 60% degli obiettivi prestabiliti, hanno investito di più della media nelle attività suggerite per un progetto di successo.
Dalla fase pilota, per testare l’efficacia delle nuove tecnologie e affinare il progetto (8,5 versus 6,7 in una scala da 1 a 10), ad attività di formazione specifica sulle persone coinvolte (7,9 risetto a 6,6), fino a un piano di riqualificazione del personale per accompagnare l’evoluzione delle competenze e dei ruoli con l’AI (6 versus 4) e alle attività di monitoraggio dell’avanzamento del progetto e dell’impatto sull’organizzazione e il business (7,7 contro 5,4).
Le sorprese e le delusioni, tra obiettivi e impatti reali
In particolare, nel confronto tra obiettivi e impatti reali, l’aumento di produttività è stata confermata secondo le aspettative (69% versus70%). L’automazione delle attività a più basso valore con possibile riduzione dell’organico (attesa dal 47%) non è rientrata negli impatti.
A loro volta, hanno deluso la capacità di migliorare e personalizzare prodotti e servizi (lo attendeva il 42%, ma solo il 24% l’ha riscontrato) e la riduzione del Time to Market, atteso dal 27% ma verificatosi solo per il 17%.
Sorprese positive, invece, nella diffusione di cultura e consapevolezza sui nuovi strumenti (da un’attesa del 27% al 37% di impatto), lo stimolo a creatività e innovazione dal 22% al 39% e lo sviluppo di nuove competenze, che non erano neppure previsto, nel 20% dei casi.
Le differenze generazionali nei progetti di cambiamento

Sono soprattutto i giovani, sotto i 30 anni, a sentire l’urgenza di presidiare strategicamente l’adozione dell’AI (33%) per restare sul mercato, contro il 15% dei Millennials e parte della Gen X (30-55 anni) e il 9% sopra i 55 anni.
Eppure, nonostante la compresenza di generazioni diverse con esigenze e culture diverse, non viene ancora data particolare attenzione a interventi diversificati nelle attività di comunicazione, coinvolgimento e formazione, neanche da parte dei Top Performer (4,40 rispetto a 4 nella scala di riferimento).
"Considerato il trend degli ultimi anni, non potremo che aspettarci un ulteriore aumento di complessità in futuro. Tra dieci anni ci volteremo indietro e ci sembrerà semplice l’attuale contesto. È necessario che progettiamo e modelliamo fin da ora le organizzazioni in modo da gestire l’ulteriore complessità".
"Non abbiamo risposte su quello che sarà il futuro dell’AI nell’industria, nei servizi, nella società. Serve però porsi domande e valorizzare questi spazi associativi per confrontarsi liberamente e riflettere su come vogliamo affrontare questa rivoluzione tecnologica, in un contesto demografico con un’età pensionabile sempre più protratta in avanti e sempre più generazioni al lavoro. Come vogliamo orientare l’adozione dell’AI, che direzione vogliamo dare alle nostre organizzazioni multiculturali e multigenerazionali?", conclude Daniele Cantore.
