HomeProcess AutomationEfficienza energetica e SostenibilitàL’obbligo di rendicontazione ambientale e sociale: approvata la Direttiva CSRD

L’obbligo di rendicontazione ambientale e sociale: approvata la Direttiva CSRD

Con la nuova Direttiva europea, dal 2024 cambieranno le regole per le grandi imprese e le quotate, obbligate alla pubblicazione dei propri dati in materia di sostenibilità aziendale.

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Marianna Capasso

Il 10 novembre 2022, l’Europarlamento ha approvato l’adozione della CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive), la Direttiva sulla comunicazione societaria relativa alla sostenibilità aziendale. Di seguito al placet del Consiglio d’Europa, che dovrebbe arrivare entro la giornata del 28 novembre 2022 (o al massimo durante la prossima riunione), la nuova normativa sarà pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale UE, ed entrerà in vigore al termine dei successivi 20 giorni.

Dunque, per l’Europa, e soprattutto per i cittadini dell’Unione, il futuro si tinge di tinte green: si tratta di un traguardo prezioso, dopo anni di dibattito, a livello regionale. Grazie alla nuova Direttiva, le imprese saranno investite di una maggiore responsabilità, obbligate ora a una regolare pubblicazione dei propri dati in materia ambientale e sociale.

Dovrebbe, così, rafforzarsi l’economia sostenibile del mercato europeo e ridursi il fastidioso (e poco rispettoso) fenomeno del greenwashing – ovvero la falsa valorizzazione reputazionale di cui alcune imprese si vantano, con richiami ambientali nella propria strategia di comunicazione, non corrispondenti però ai dati reali.

Ma procediamo per gradi e ripercorriamo l’iter politico e normativo che ha condotto fino alla CSRD.

La Direttiva 2014/95 e la green reputation

Di tematiche ESG (Environmental, Social e Governance) se ne parla da anni. Tuttavia, è soprattutto nell’ultimo decennio che è cresciuta l’attenzione a tal riguardo. In Europa è stata la Direttiva 2014/95 recepita in Italia dal Decreto Legislativo 254/2016 che - modificando la Direttiva contabile 2013/34 – ha reso obbligatoria la rendicontazione in materia non finanziaria, per alcune imprese, stabilendo le regole sulla divulgazione delle informazioni e prevedendo, a latere, anche norme green più incisive.

La DFN (Dichiarazione Non Finanziaria) evidenzia gli aspetti relativi alla gestione, da parte dell’impresa, di questioni che riguardano l’ambiente, il trattamento dei dipendenti, il rispetto dei diritti umani, le politiche di concussione e anticorruzione, la diversità negli organi aziendali – con riferimento a età, genere, percorso professionale e formativo.

Le imprese obbligate, quindi, rendiconteranno le proprie azioni, dimostrando di essere in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile: gli azionisti saranno soddisfatti e aumenterà la cosiddetta green reputation aziendale, attirando nuovi investitori.

La Dichiarazione Non Finanziaria, un fallimento annunciato?

La Direttiva UE 2014/95 riguarda le imprese di interesse pubblico che abbiano avuto, in media, durante l’esercizio finanziario, un numero di dipendenti superiore a 500. Le stesse, inoltre, alla data di chiusura del bilancio, dovranno aver segnato un totale dello stato patrimoniale superiore a 20 milioni di euro o, in alternativa, un totale dei ricavi netti delle vendite e delle prestazioni superiore ai 40 milioni.

Queste caratteristiche, però, escludono numerose realtà aziendali, in Italia come all’estero. Tra l’altro, la Dichiarazione Non Finanziaria non richiede l’utilizzo di una forma precisa: l’azienda può scegliere lo standard di rendicontazione ma può anche eventualmente ricorrere a una metodologia autonoma.

Insomma, una normazione poco “normante”, secondo molti. E, di fatto, il risultato è stato deludente. Secondo gli ultimi dati CONSOB, nel 2022 hanno presentato la DNF solo 209 imprese, contro le 210 del 2021 e le 204 del 2020. E la situazione non è stata diversa negli altri Paesi UE.

La Corporate Sustainability Reporting Directive e le novità normative

Considerando che i dati emersi di seguito all’obbligo di DNF risultavano ancora poco sostanziosi, Bruxelles ha quindi deciso di andare oltre e rendere più stringente la normativa: così, nell’aprile del  2021 è stata presentata una proposta di Direttiva sulle comunicazioni societarie relative alla sostenibilità aziendale, approvata dall’Europarlamento, in via definitiva, solo poche settimane fa.

Con la CSRD, Corporate Sustainability Reporting Directive, sono stati introdotti maggiori e più dettagliati obblighi di trasparenza, relativamente all’impatto delle imprese sull’ambiente, sui diritti umani e sugli standard sociali, armonizzando la “coercizione” con gli obiettivi climatici europei.

La nuova Direttiva ha quindi previsto l’imposizione di controlli e certificazioni indipendenti (tra cui la certificazione per la rendicontazione di sostenibilità) per poter avere dati maggiormente affidabili da parte delle imprese. Il cambiamento più rilevante, però, riguarda l’equiparazione tra dichiarazione sulla sostenibilità e dichiarazione finanziaria.

Corporate Sustainability Reporting Directive: tempistiche e destinatari

La CSDR prevede regole la cui applicazione partirà nel 2024, per completarsi appieno nel 2028. C’è quindi ancora un po’ di tempo per metabolizzare il cambiamento. Le novità riguarderanno tutte le grandi imprese, società quotate sui mercati regolamentati, imprese estere che fatturano più di 150 milioni di euro nel territorio UE e le PMI quotate.

Si inizierà il 01 gennaio 2024 con le grandi imprese di interesse pubblico (con più di 500 dipendenti) già soggette alla DNF, seguite l’anno successivo dalle altre grandi imprese, con più di 250 dipendenti e/o 40 milioni di euro di fatturato e/o 20 milioni di euro di attività totali. Le pmi quotate, invece, avranno a disposizione un periodo transitorio per adeguarsi e, per loro, l’obbligo avrà inizio il 1° gennaio 2026.

È quindi evidente che la platea di imprese, tenute a rendicontare la sostenibilità della propria attività, è ampiamente cresciuta: la vecchia normativa copriva circa 11.700 imprese europee mentre, con la nuova, il numero salirà a quasi 50mila. Questo, senza dubbio, influirà su un più celere raggiungimento degli obiettivi green. O almeno, così si spera.

Una riflessione finale sulle opportunità per le imprese

Secondo lo schema temporale, dunque, per la totale applicazione della nuova Direttiva bisognerà attendere il 2026 e molte realtà aziendali potranno adeguarsi alle norme con tempistiche più dilatate. Alcune, addirittura, non saranno mai tenute a produrre la documentazione.

Tuttavia, è necessario soffermarsi a riflettere sul perché, numerose imprese non tenute alla rendicontazione DNF, abbiano comunque emesso, in passato e su base volontaria, la reportistica. Qual era la motivazione sottesa a tale scelta?

Con lungimiranza, appariva loro evidente che presentare una DNF rappresentasse una valida strategia aziendale, con indubbi diversi vantaggi. Tra questi ci sarebbe l’instaurarsi di rapporti più semplici con la P.A. o un miglior accesso alle risorse finanziarie e al mercato del credito, ma anche una leva per attrarre o fidelizzare risorse con competenze specifiche.

Con una DFN, poi, si potrebbe facilitare uno sviluppo di una filiera sostenibile, agevolando le aggregazioni con altre imprese simili, senza dimenticare che la rendicontazione rappresenta un elemento premiante per le imprese (anche di piccole dimensioni) per concorrere ai lavori finanziati dal PNRR (come stabilito dalla cosiddetta Governance del Piano Nazionale).

Dunque, si valutino questi diversi aspetti, in considerazione delle future scelte in ambito CSRD.

L’obbligo di rendicontazione ambientale e sociale: approvata la Direttiva CSRD - Ultima modifica: 2022-11-28T17:22:00+01:00 da Marianna Capasso