Per il 37% dei manager è poco o per nulla chiaro lo scopo profondo (il Purpose) della propria azienda, mentre il 62% sa esprimerlo correttamente. Tuttavia, solo il 32% ha un Purpose formalizzato/dichiarato e solo il 17% ne misura gli effetti con criteri definiti.
Arriva un senso di urgenza e necessità di presa di coscienza da parte del nuovo Osservatorio Purpose in Action della School of Management del Politecnico di Milano, nato in collaborazione con OpenKnowledge - Gruppo BIP, BVA Doxa e Tiresia PoliMi. L'obiettivo è quello di creare cultura attorno al Purpose, metterlo in pratica come business school e fornire ad aziende e studenti strumenti di integrazione nell’operatività e criteri di misurazione dell’impatto.
La seconda edizione del Purpose Day
«Oggi il Purpose è un concetto positivo di trasformazione, sociale e ambientale. Le aziende possono anche non essere cambiate, ma il mondo intorno cambia e chiede conto dell’impatto del loro operato».
Lo spiega Mario Calderini, professore di Management for Sustainability and Impact del Politecnico di Milano, in occasione della seconda edizione del Purpose Day, organizzato da PoliMI Graduate School of Management.

La scuola di management propone sul sito un percorso di formazione gratuito e accessibile per avvicinarsi a questi temi.
Agire il Purpose: perché conviene
Dal punto di vista dell’organizzazione e del business, agire il Purpose porterebbe a un vantaggio competitivo.
I benefici principali si percepiscono nell’aumento di motivazione e ingaggio dei dipendenti (51% dei manager), nelle relazioni esterne e nella reputazione aziendale (46%). Quindi il Purpose esercita una funzione positiva per la coesione interna e la costruzione di una solida reputazione all’esterno.
Si collega invece ancora poco ai risultato economici. Eppure, avere le idee chiare sul proprio senso ultimo aiuta a rinnovare la strategia aziendale.
I risultati dell’indagine mostrano che i manager delle aziende con un Purpose formalizzato (32%) sono il 22% più efficaci nella capacità di rinnovamento strategico. Il Purpose dichiarato è più comune nelle quotate (49%) rispetto alle non quotate (25%) e nelle grandi aziende (39%) rispetto alle medie (25%).

Le basi per un futuro più sostenibile
«Non solo consente di affrontare meglio le sfide del presente, ma offre una solida base su cui costruire un futuro sostenibile. Allinea gli obiettivi di business con il valore creato per gli stakeholder e la società, garantendo resilienza e successo nel lungo periodo», spiega Josip Kotlar, condirettore scientifico dell’Osservatorio.
Eppure, per il 59% in azienda non esistono pratiche ricorrenti dedicate al Purpose per renderlo parte integrante della cultura aziendale, sia a livello formale sia operativo.
Le resistenze al Purpose
Tra le principali difficoltà a questa integrazione, c’è la percezione che sia qualcosa di astratto, lontano dalle attività quotidiane. Ma anche che non ci sia allineamento tra leadership e collaboratori e che non ci sia una comunicazione efficace. Che manchi un piano di azione e criteri precisi di misurazione. Solo il 17% dei manager monitora infatti l’impatto con indicatori specifici, mentre il 36% lo fa in modo non sistematico.

«Il Purpose è definito come "la ragione d’essere di un’azienda e la sua aspirazione a perseguire un obiettivo che vada oltre la semplice ricerca del risultato economico-finanziario".
Comprende tre dimensioni chiave: strategica, culturale e socio-ambientale. Queste dimensioni vanno equilibrate attraverso un’interpretazione attenta e un’azione deliberata da parte dei manager, pena l’emergere di tensioni», raccomanda Federico Frattini, condirettore scientifico dell’Osservatorio.
