L’intelligenza artificiale è sulla bocca di tutti: promette di rivoluzionare interi settori, accelerare i processi, ridurre i costi e generare vantaggi competitivi. Eppure, nella realtà quotidiana delle imprese, non sempre le cose vanno come ci si aspetterebbe. Molti progetti AI non raggiungono i risultati desiderati, restano in fase sperimentale o, peggio ancora, si rivelano controproducenti.
Innanzitutto, l’AI non fa miracoli. Spesso le aziende sopravvalutano ciò che questa tecnologia può fare, aspettandosi soluzioni automatiche e universali. Ma ogni modello ha limiti tecnici, richiede un contesto definito e dati adeguati. Inoltre, i migliori risultati arrivano da approcci ibridi, in cui l’AI supporta le persone, senza sostituirle.
Progetti AI: obiettivi vaghi, risultati incerti
Molti progetti AI nascono senza obiettivi di business chiari e misurabili. “Facciamo qualcosa con l’AI” non è una strategia. Serve partire da domande concrete: quale processo vogliamo migliorare? Quali KPI ci aspettiamo di modificare? Senza una risposta a queste domande, l’AI rischia di diventare solo una vetrina tecnologica.
“Uno degli errori più frequenti è pensare all’AI come a una tecnologia da installare con un clic. Ma l’AI non è un componente aggiuntivo: è uno strumento che va progettato, adattato, integrato all’interno di una strategia di business chiara.”
È questo il pensiero di Antonio D’Agata, Director Strategic Accounts & Partner di Axiante – società di consulenza tecnologica e strategica – che ci aiuta a capire perché le aziende faticano a trarre vantaggio dall’AI, nonostante l’interesse e gli investimenti.
Il valore dell’AI nasce dai dati e dal processo continuo
La qualità dell’AI dipende dalla qualità dei dati. Dati incompleti, obsoleti o frammentati in silos rendono impossibile costruire modelli efficaci. In molti casi manca una cultura del dato: senza una data governance strutturata, il rischio di modelli distorti o inutilizzabili è elevato. Eppure, è proprio dai dati che nasce il valore dell’AI.
Un altro errore comune è pensare all’AI come a un’iniziativa una tantum. L’AI è un processo continuo: va aggiornato, monitorato, adattato alle evoluzioni del mercato. Senza un piano di manutenzione e miglioramento costante, anche il modello più sofisticato perde rapidamente efficacia. Serve un team dedicato che ne curi le performance nel tempo.
Le competenze interne e il ruolo chiave del change management
Molte aziende affidano tutto a fornitori esterni, senza sviluppare know-how interno. Ma l’AI va capita, gestita, guidata. Avere competenze interne, anche inizialmente limitate, è essenziale per prendere decisioni consapevoli, valutare i risultati e orientare lo sviluppo futuro.
Infine, l’aspetto umano. L’intelligenza artificiale non trasforma solo i processi, ma anche il lavoro delle persone. Senza formazione, comunicazione e coinvolgimento, la resistenza al cambiamento può bloccare qualsiasi progetto. Serve una strategia di change management che accompagni l’adozione dell’AI, spiegandone i benefici e ridisegnando i ruoli in modo inclusivo. Solo così l’AI potrà diventare un vero acceleratore del cambiamento.
