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Un nuovo ruolo per i Service Robot

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La Redazione

Una diversa chiave di lettura dei Service Robot porta a considerare questi sistemi robotizzati ben più importanti delle funzioni originarie per i quali sono stati concepiti, con importanti ricadute pratiche anche per le applicazioni industriali.

La disponibilità di nuove soluzioni tecnologiche stimola spesso a potenzialità applicative che portano dei sistemi originariamente concepiti per operare in ambiti predefiniti a impattare positivamente su problematiche che prima si pensavano al di fuori della loro portata. Un trend di questo genere si manifesta in modo crescente per i Service Robot, particolare categoria di robot difficilmente catalogabili in senso stretto perché in grado di assumere forme e funzioni estremamente diverse, con limiti imposti solo dalla fantasia dei progettisti.La International Federationof Robotics definisce un Service Robot come “robot che opera in modo semiautonomo, o anche completamente autonomo, per svolgere servizi utili per il benessere delle persone o per il buon funzionamento di apparati, escludendo qualsiasi attività di tipo manifatturiero”. Con questa definizione, quindi, si esce dall’ambito produttivo e i vantaggi offerti da un robot di servizio tendono a diventare immateriali, ma non per questo esenti da valore. Il punto diventa allora: quale questo valore? Se la cura degli umani, a emulazione di una badante per anziani, pare oggi solo futuribile, altri servizi possono portare valore, come avviene per esempio nel caso di Roomba, robot autonomo concepito da un designer industriale russo per raccogliere la spazzatura che dai marciapiedi o nei centri commerciali: usando degli elementi di manipolazione, il robot raccoglie la spazzatura accumulandola in suo contenitore interno, muovendosi su due ruote posteriori e operando con il supporto di Web camera e sensori atti a permette l’individuazione, come forma e dimensione, dei rifiuti da raccogliere. In questo caso i compiti sono limitati e il servizio è ben definito. Ma ci sono casi in cui le “prestazioni di base” sono sostanzialmente inutili, nel senso che non si ha nessun servizio vero e proprio, ma che, con elementi aggiuntivi, tipicamente sensori e capacità di elaborazione, permettono di creare delle situazioni a supporto della ricerca finalizzata a migliorare tutta una serie di processi, anche non necessariamente produttivi, da cui un valore di ottimizzazione per situazioni e problematiche variegate, che può manifestarsi in un momento successivo.

Nel progetto di ricerca europeo SHOAL per l’individuazione delle aree di inquinamento nei porti è utilizzato un “robotic fish”, sistema autonomo dotato di intelligenza artificiale e di specifici sensori chimici.

Stimoli dall’ambiente marino

Gli esempi per rendere più tangibili i concetti prime espressi non mancano certo, e per entrare in argomento abbiamo scelto l’ambiente marino e i cosiddetti “pesci robotizzati”, di fatto sofisticati sistemi autonomi le cui sembianze richiamano quelle degli equivalenti naturali, e questo non certo per vezzo o spettacolarizzare: l’evoluzione naturale ha portato a forme e strutture perfette per l’ambiente marino, e quindi farne una “clonazione” ha senso compiuto. Un primo caso riguarda il progetto di ricerca europeo SHOAL, gestito dall’inglese BMT Group, finalizzato individuare e identificare aree di inquinamento nei porti e in altre aree marine usando un sistema autonomo dotato di intelligenza artificiale e di specifici sensori chimici. Il sistema in questione è un “robotic fish” di circa un metro e mezzo di lunghezza, in grado di muoversi fino a 30m di profondità evitando ostacoli, di localizzare precisamente le coordinate delle aree inquinate tramite GPS integrato, e con comunicazioni basate su onde radio a bassa frequenza per invio dati a una stazione base alla quale rientra per ricarica raggiunto il limite previsto di autonomia, di circa 8 ore. Il sistema è stato utilizzato in Spagna, nel porto di Girona, con risultati molto apprezzabili. Prima operavano squadre di sommozzatori con prelievi di campioni d’acqua e costi di circa 100.000 euro all’anno, ora il monitoraggio è continuo ed è possibile trovare esattamente in tempi rapidi le cause di inquinamento e porvi termine. La multidisciplinarietà del progetto ha portato a interazioni approfondite tra competenze diverse, con affinamenti tecnologi su più fronti, non necessariamente contestuali con quelli del progetto in atto, da cui ricadute positive ad ampio raggio che non escludono la soluzione di problematiche più prettamente omogenee con l’ambito industriale e produttivo. Questo approccio vale anche per altri esempi, tra questi il sistema denominato BIOSwimmer (Biomimetic In Oil Swimmer), appartenente alla categoria degli Underwater Unmanned Vehicle (UUV) e progettato dall’Advanced Systems Group di Boston Engineering Corporation. Il robot BIOSwimmer, per il quale è stata adotatta una struttura simile a quella di un tonno per le caratteristiche dinamiche che caratterizzano questo tipo di pesci, era nato inizialmente per un “servizio” molto particolare: ricerca di merce di contrabbando nei tank di petrolio trasportati via mare. Ma da questo a compiti di sicurezza con verifica di integrità di serbatoi e container, a protezione delle aree marine da potenziali inquinamenti, il passo è stato breve. Anche in questo caso vi è il supporto di sofisticata sensoristica e comunicazioni dati tramite un on-board computer, che tra l’altro permette la riconfigurazione del sistema per adattarlo a compiti specifici. Giusto per riagganciarsi con la precedente considerazione sulla scelta della struttura del tonno per dare efficienza di movimento al BIOSwimmer, si può citare AquaPenguin, progetto portato avanti da Festo in ambito Bionic Learning Network: qui l’aderenza con obiettivi che possano coinvolgere le applicazioni industriali è ben precisa in quanto lo scopo del network è quello di far uso dei principi di efficienza energetica presenti in natura per adattarli proprio alla tecnologia dell’automazione. AquaPenguin è un veicolo sottomarino autonomo che un’idrodinamica ispirata alla configurazione fisica dei pingioni, equipaggiato con sistema sonar 3D per permettere sperimentazioni “di gruppo”, nel senso di comunicazioni con altri sistemi simili nelle vicinanze.

Con Swumanoid è stato invece possibile riprodurre movimenti complessi, e questo “servizio” è fonte di preziose ricadute in qualsiasi ambito in cui sia richiesto un Motion Control accurato.

Il versante umanoide

Il significato stesso di service robot porta istintivamente a percepire i sistemi robotizzati con fattezze molto simili agli essere umani, e anche sul versante umanoide si possono trovare progetti e soluzioni che ripropongono i concetti sin qui espressi. Una prova significativa è data da Swumanoid, robot sviluppato dai ricercatori dell’istituto di tecnologia di Tokio, con un progetto inizialmente finalizzato a studiare in dettaglio i movimenti dei nuotatori per incrementarne le prestazioni, e poi orientatosi all’individuazione di più efficaci terapie fisiche per il recupero di handicap. Inevitabilmente, per ottenere risultati di eccellenza il più vicini alla realtà, sono stati introdotte delle innovazioni tecnologiche di motion control molto sofisticate, ora a disposizione della comunità tecnico-scientifica. Il robot “nuotatore” prevede infatti ben 20 motori waterproof, controllati da un computer che tramite specifici algoritmi imita con assoluta precisione l’azione di un nuotatore umano. Inizialmente le ricerche erano state portate avanti studiando dei filmati di nuotatori, ma evidentemente era quasi impossibile il recupero di dati di riferimento precisi, anche perché i nuotatori non potevano garantire un’assoluta ripetibilità della loro azione. Con il modello rappresentato da Swumanoid è stato invece possibile analizzare la dinamica completa di un corpo impegnato nel nuoto, stimando la forza del fluido sul corpo e risolvendo tutta una serie di equazioni del moto di un corpo umano rigido. In dettaglio, il robot ha una dimensione pari alla metà di un umano adulto, ma ne rispetta completamente le proporzioni; dodici dei 20 motori svolgono il compito di attuatori dei movimenti delle bracca e un motore sovraintende ai movimenti del bacino; i gradi di libertà sono sei per il braccio, quattro per la spalla, due per il gomito. Con questo modello è stato possibile dimostrare l’accuratezza sia della parte hardware che di quella software nel riprodurre movimenti complessi, e questo è un “servizio” che sta avendo preziose ricadute in qualsiasi ambito in cui sia richiesto un Motion Control accurato.

Un nuovo ruolo per i Service Robot - Ultima modifica: 2013-04-12T08:20:54+02:00 da La Redazione