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Semiconduttori al diamante

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La Redazione

fig2I diamanti hanno delle notevoli proprietà che se ben sfruttate possono consentire la realizzazione di semiconduttori capaci di rispondere alle crescenti esigenze di un’elettronica più efficiente.

Il titolo di questo nostro articolo non richiama il claim estroso oltre che poco eticamente accettabile di una griffe del lusso, ma una realtà tecnologica che si sta sempre più affermando. Come premessa, si ricorda che il diamante è una forma allotropica, cioè una tra le tante possibili, con cui si presenta il carbonio, oltre a grafene, fullereni e nanotubi, ed è costituito da un reticolo cristallino di atomi di carbonio che sono disposti secondo una struttura tetraedrica, quindi un poliedro con quattro facce. I diamanti si formano nel mantello terrestre, uno degli involucri concentrici che costituiscono il nostro pianeta compreso tra crosta e nucleo terrestre, dove vi è l’elevatissima pressione necessaria alla loro formazione, e sono stati nel tempo portati in superficie, inglobati in rocce di kimberlite, da fenomeni vulcanici. Giusto per curiosità, il diamante più grande mai scoperto è quello denominato Cullinan, trovato in Sudafrica nel 1905, da 3106 carati, dove un carato equivale a 0,2 grammi, per cui una pietra da più di mezzo Kg. Ma quale il rapporto tra i diamanti e i semiconduttori?

Trasferimento, conversione e controllo di potenza

Qualsiasi dispositivo richiede un insieme di elettronica dedicata a trasferimento, conversione e controllo di potenza, e recentemente si è riusciti a realizzare un processo con cui è stato possibile drogare un singolo cristallo di diamante ottenendo quello che potrà rappresentare, a detta dei ricercatori della università del Wisconsin-Madison, il materiale perfetto per una nuova tipologia di power electronics in quanto termicamente conduttivo quindi in grado di dissipare rapidamente calore, permettendo di evitare l’approntamento di costosi metodi di raffreddamento. Da aggiungere anche che in un diamante la corrente fluisce velocemente, da cui la possibilità di costruire dispositivi efficienti dal punto di vista energetico. Il drogaggio, o “doping”, di un diamante, necessario per ottenere le caratteristiche elettriche richieste, è sempre stato estremamante difficoltoso a causa della struttura cristallina rigida. Da ricordare che per produrre un materiale semiconduttore di tipo estrinseco vanno aggiunte delle impurità (donor atoms) al puro “intrinsic semiconductor”. Finora il processo consisteva nel rivestire il cristallo con uno strato di boro e successivo riscaldamento a quasi 1500 gradi, ma questo metodo, al di là della diffcoltà di rimozione dello strato di drogante, funzionava solo con strutture “polydiamonds” composte cioè da più cristalli tra loro aggregati, con irregolarità ineliminabili da cristallo a cristallo. Altro metodo è quello dell’iniezione di atomi di boro durante la crescita artificiale di un cristallo, ottenibile solo con potenti microonde che inevitabilmente degradano la qualità del materiale. Il nuovo processo, che avviene a temperature relativamente basse, circa 800 gradi, prevede invece la creazione di una giunzione tra un singolo cristallo di diamante e del silicio drogato con boro: gli atomo di boro migrano dal silicio al diamante. Questa migrazione lascia delle mancanze di elettroni o lacune nel silicio che sono però occupate da atomi di carbonio che arrivano dal diamante, processo che tra l’altro determina a sua volta spazi vuoti nel cristallo poi occupati dagli atomi di boro. Questa tecnica permetterebbe anche dei drogaggi molto selettivi consentendo un alto controllo del risultato finale. C’è però un problema di fondo. Il metodo descritto opera solo con drogaggio P-type, dove il semiconduttore è drogato con un elemento che mette a disposizione cariche positive, cioè l’assenza di elettroni o lacune, ma per ottenere dei dispositivi elettronici di base come i transistor occorre un drogaggio N-type che fornisce al semiconduttore dei portatori di cariche negative, cioè elettroni, in modo che applicando una tensione al materiale si produca una corrente elettrica.

Dai laboratori alla prossima produzione di massa

La startup Akhan Semiconductor sta per commercializzare i primi “diamond semiconductor” che saranno più veloci, con consumi energetici estremamente bassi, più sottili e leggeri di quelli a base silicio. Finora il problema principale riguardante questa nuova tipologia di semiconduttori, al di là dei processi di drogaggio come prima esposto, è stato quello della difficile realizzabilità di transistor N-type, a differenza dei P-type invece più facilmente ottenibili, e questa barriera sembra sia stata superata dalla startup americana rendendo possibile la produzione dei primi CMOS-compatible diamond semiconductors, in particolare dispositivi denominati Diamond PIN Diode (dove PIN sta per P-type—intrinsic, undoped—N-type junction) con performance un milione di volte superiori a quelli al silicio e mille volte più sottili, praticamente un record se si pensa che ci si assesta sui 500 nanometri. Il processo, ovviamente noto solo nelle sue linee generali, prevede un co-implanting di fosforo in dispositivi P-Type e un co-doping di boro e litio in dispositivi N-Type. Sul fronte delle performance è stata dimostrato che i nuovi dispositivi possono operare a 100 GHz, e questo come conseguenza della resistenza ultra bassa del diamante, velocità che può realmente rivitalizzare il comparto dei processori  che per lungo tempo si sono attestati su velocità attorno ai 5 GHz; per esempio, un Intel i7-6700K, reso disponibile nell’agosto 2015, ha una clock speed di 4 GHz. Con il silicio, il valore dei 5 GHz è sostanzialmente un limite in quanto gli elevati consumi energetici e gli effetti termici conseguenti possono portare a una vera e propria “fusione” del chip, mentre nel caso del diamante la conduttività termica è 22 volte quella del silicio e quasi 5 volte quella del rame. Per ora la ricerca si sta concentrando su applicazioni power electronics per l’industria, per applicazioni miltari e per applicazioni ottiche di tipo consumer in ambito mobile, in cui il diamante viene utilizzato sia come semiconduttore che come isolante. Ma il grosso business del futuro potrebbe essere quello delle applicazioni Big Data, con processori definibili come “ultra-cool-running”: i Data Center potrebbero cioè abbattere in modo drastico la produzione di calore adottando processori al diamante che operano alla stessa velocità di clock di quelli al silicio, cioè i citati 5 GHz, oppure aumentare le velocità di elaborazione in un range sub-terahertz accettando gli stessi consumi che si hanno con processori basati sul silicio. In pratica viene evidenziato che quasi la metà della cosiddetta Big Data Energy è usata solo per raffreddare i processori e il diamante rappresenta il prossimo step stante la sua superiore efficienza energetica. Da aggiungere che il materiale può essere depositato anche su vetro o zaffiro ottenenedo un’elettronica altamente trasparente, innegabile plus soprattutto per le applicazioni consumer, verso la realizzazione di dispositivi mobili completamente trasparenti.

Ulteriori campi di applicazione

Quanto sin qui esposto sembra possa estendere la validità della legge di Moore, bloccata dagli attuali livelli tecnologici per i limiti dei materiali utilizzabili nella realizzazione dei processori. Ma vi sono altri filoni di sviluppo, oltre ai processori e alla power electronics, e si parla di dispositivi MEMS diamond-based per la realizzazione di switching array capacitivi per il tuning dinamico delle antenne in smartphone di alto livello, ma anche di computer quantistici. In conclusione, un filone tecnologico “prezioso” dalle ampie potenzialità innovative, tali da superare i limiti funzionali dei materiali oggi disponibili.

 

 

Semiconduttori al diamante - Ultima modifica: 2016-10-24T11:36:39+02:00 da La Redazione